Molte pagine sono state scritte sullo spinone italiano, razza da ferma che è, insieme al bracco, il vanto della cultura cinofila italiana. Tanti gli autori che ne hanno parlato dall’alto della loro conoscenza, sia storica che attuale; per tale motivo queste poche righe vogliono essere soltanto una semplice testimonianza, vissuta e ragionata, di un cacciatore col cane ferma che da qualche lustro si accompagna allo spinone.
Parto dal presupposto in base al quale l’essenza di una razza da lavoro si incarna primariamente nella capacità di svolgere nel miglior modo il proprio compito: lo spinone è prima di tutto un cane da caccia, che sia quindi profondamente venatico; è un cane da ferma, che sia quindi totalmente concentrato sul reperimento della selvaggina per poterla indicare solidamente; in ultimo è spinone, che svolga il suo lavoro con il suo peculiare stile. Ribaltare tale ovvia consequenzialità esaltando primariamente il “tipo” o lo “stile”, che pure sono caratteristiche di grande rilievo e che invero danno consistenza all’idea di razza, rischia di portarci fuori dal seminato, ovvero dalla caccia vera. Per ripetermi, cane e cacciatore sono i costituenti di un binomio funzionale volto a realizzare il compimento dell’azione, nel miglior modo possibile, prima per efficacia e quindi per estetica.
Purtroppo, nonostante fiumi di inchiostro, si è spesso verificato che la discussione circa lo spinone si sia orientata più come un dialogo tra coloro che già lo conoscono che non a favore di coloro i quali ne sono del tutto digiuni; l’autoreferenzialità dei cultori di una razza è un fenomeno che, si sa, contraddistingue il mondo della cinofilia venatoria, laddove ogni gruppo tende a confrontarsi prevalentemente con i consimili e poco si interessa a cosa succeda un passo più in là. La conseguenza è una sorprendente accozzaglia di luoghi comuni su ogni razza, data per certezza a discapito della realtà. E’ invece sempre estasiante vedere un bravo cane da ferma nello svolgimento della sua azione, a qualsiasi razza esso appartenga. Per non parlare del godimento di incontrare nei boschi e nelle valli colleghi accompagnati da bravi cani da ferma delle più svariate razze, evenienza, ahimé, sempre più rara.

Intrappolato in un glorioso passato
Lo spinone ha una lunga storia ed è protagonista di mille racconti di una caccia che fu, prima di venire ridimensionato dalla diffusione di altre splendide razze da ferma, inglesi e continentali, che più rapidamente si adattarono ai cambiamenti culturali e ambientali. Così, ancora oggi lo spinone resta una razza che purtroppo rischia di rimanere intrappolata nel suo glorioso passato dai suoi stessi appassionati. Nostalgico, ma del tutto superato, appare lo stereotipo che ha descritto lo spinone come il “burbero bonario”, il cane “poeta”, il “filosofo” e “pensatore”, l’ausiliare confinato al “bosco e alla riviera”.
Fortunatamente nelle ultime decadi si sono levate con forza voci autorevoli a favore dello spinone in grado di coniugare le proprie caratteristiche di lavoro con le necessità della caccia contemporanea. Ciò ha fatto sì che una quota di spinoni e di spinonisti si siano mantenuti al passo coi tempi, in grado di rinnovarsi in funzione della rarefazione della selvaggina e delle modifiche ambientali. Il cambiamento in atto è però un fenomeno laborioso, che passa attraverso una mediazione a volte difficile fra passato e futuro, ma necessario per rimanere in linea con le esigenze concrete della caccia di oggi.
Lo spinone, pertanto, raccoglie quanto di buono deriva dal passato e nel contempo è proiettato verso un conveniente modello comportamentale e morfologico che risponde pienamente alle esigenze contemporanee.

L’importanza di una genealogia certa
Come per ogni razza, anche per lo spinone, sarà fondamentale partire da una genealogia certa, ovvero caratterizzata da una forte impronta venatoria sottoposta nel tempo a verifiche probanti, che si trasformi in passione e temperamento, premessa indispensabile per lo svolgimento di un’efficace azione sul terreno. Prima conseguenza sarà la precocità, per cui già alla prima stagione venatoria, pur con tutti i limiti legati alla giovane età, si deve percepire che il novizio profonde nella sua azione tutte le proprie energie.
Altro punto di forza dello spinone è la versatilità, dote che gli consente di affrontare con uguale dimestichezza tutte le condizioni ambientali in cui viene praticata la caccia col cane da ferma. E’, infatti, peculiare dello spinone la modalità attraverso la quale viene svolta la sua funzione: la tipica andatura di trotto e galoppo assicura efficacia ed espressività estetica, sia per coprire ampi spazi aperti, sia per adeguarsi a terreni più ristretti, dimostrando adattabilità e duttilità nell’affrontare qualsiasi terreno. Lo spinone espleta così un’azione energica e continua che si traduce in una cerca adeguata al terreno, senza differenze di ampiezza di cerca con le altre razze. Esiste quindi una differenza di andatura e velocità che è caratteristica e che permette il reperimento del selvatico anche nei terreni più estesi. Tale energica andatura di trotto-galoppo è premessa al contatto col selvatico, consistente nella filata a testa alta e culminante nella ferma solida. Parallelo all’ampiezza di cerca, elemento di rilievo è il collegamento, di norma spontaneo e in seguito affinato dalla pratica e dall’esperienza.

L’idea di spinone con cerca molto ampia
Si realizza così l’idea di spinone con cerca molto ampia, sempre collegata, che porta all’emozionante filata seguita da una ferma solida in attesa di essere servito. Quindi il riporto, facile, immediato e sollecito, eseguito con gioia. Forse ancora più importante è il recupero del selvatico ferito, per non parlare del lavoro in acqua, da sempre caratteristica della razza.
Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche dello spinone, in linea con i desiderata di molti utilizzatori, derivanti dalla pratica venatoria in tutti gli ambienti possibili, si può dire che, rimanendo ben ancorati al minuzioso standard morfologico, esiste un certo spazio per le preferenze personali. L’orientamento, nello spirito di una concreta morfologia funzionale, è senz’altro verso spinoni essenziali, di taglia contenuta, asciutti e agili, ma robusti e di solida costruzione e muscolatura, non abbondanti di pelle coperta dal caratteristico pelo, tendente al minimo dello standard, aderente e duro, mai eccessivo e molle.
Accerchiato dai suoi stessi amanti
Concludo con una nota sugli spinonisti, una comunità di persone contraddistinte da una moltitudine di punti di vista, da mille distinguo, a volte conflittuali, a volte convergenti: chi si sente spinonista e poi cacciatore; chi cacciatore con lo spinone e quindi spinonista, chi riesce a mantenere un equilibrio tra gli opposti, chi è interessato al “tipo” e chi vede soltanto lo stile. Benissimo, tutto potrebbe portare al dialogo e al continuo miglioramento della razza. Purtroppo ciò non sempre avviene, perché la nostra è una lunga storia che riparte dal dopoguerra, epoca nella quale furono fatti grandi sforzi da parte di meritevoli appassionati per la ricostruzione della razza in quell’epoca in grande crisi. Purtroppo alcuni dei concetti proposti negli anni Cinquanta, allora storicamente comprensibili, ancora oggi, più o meno consapevolmente, orientano il pensiero di alcuni appassionati, conducendoli a una sempiterna ricerca di una anacronistica “purezza” della razza. Di più, chiunque osasse parlare di cambiamento verrebbe automaticamente, lui stesso, definito eretico. Gli anni Cinquanta sono però passati da un pezzo e pare del tutto superata la tentazione di sentirsi illuminati da una missione: risulta pertanto controproducente l’empito eroico derivante dal mito delle sacre origini che pervade ancora alcuni contemporanei, empito che li conduce a tentare di congelare il nostro spinone. Più serenamente e laicamente esprimo la prospettiva evolutiva, l’unica compatibile con il perpetrarsi di ogni razza: il mondo cambia ogni momento e con essa ogni sua creatura. In sostanza lo spinone rischia di essere accerchiato, finanche assediato, dagli stessi suoi amanti. Meno male che la sua insopprimibile vitalità di meraviglioso cane da caccia, da ferma, supera comunque il soffocante amore dei suoi stessi appassionati. Bisogna affermare con forza che buona parte dei suoi affezionati cultori poco si fa condizionare dagli alti lai dei puristi e senza clamore porta avanti una selezione centrata esclusivamente sul lavoro venatorio e sulla morfologia funzionale, in una prospettiva evolutiva.