Brucellosi, anche fuori dagli allevamenti

A caccia con il medico: brucellosi, anche fuori dagli allevamenti - cinghiale morto abbattuto a caccia
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Da sempre considerata una malattia appannaggio esclusivo di allevatori e pastori, la brucellosi può insidiare anche i cacciatori.

Come la toxoplasmosi, la brucellosi è una zoonosi, cioè una malattia trasmessa dagli animali all’uomo, provocata da un batterio, la brucella, nei vari sierotipi Brucella abortus (dai bovini), Brucella melitensis (da ovini e caprini), e Brucella suis (dai suini).

Da sempre nella prevenzione della brucellosi si focalizza l’attenzione sugli allevamenti; negli ultimi anni è però emersa una certa frequenza di contagi anche in ambito venatorio. Numerosi studi riportano alte positività sierologiche nelle popolazioni di cinghiali. Sulle popolazioni esaminate in Italia e in altri Paesi europei circa il 20-30% di suini e cinghiali è risultata sieropositiva per brucella.

In tal senso il ruolo degli animali infetti è di particolare rilevanza non solo per la trasmissione tra suidi, ma anche nei confronti dell’uomo. È stato inoltre riscontrato che possono essere infetti anche cervi, bisonti, cavalli, alci, caribù, lepri.

Contagio per ingestione

Il contagio può avvenire per contatto con materiale biologico infetto o tramite l’ingestione. Nel primo caso l’esposizione riguarda persone che per attività lavorativa o venatoria possono entrare in contatto con sangue, urine, feci, placente di animali infetti.

Una volta immessa in ambiente, la brucella è in grado di sopravvivere per lunghi periodi, rimanendo potenzialmente infettante per molto tempo. Il contatto col batterio tramite cute lesa, piccole abrasioni, occhi o vie respiratorie può rappresentare dunque una possibile via di infezione.

Nel caso del contagio per ingestione, il rischio interessa chiunque ingerisca latte e derivati non pastorizzati o carni crude o insaccate. Il calore infatti è un metodo sicuro per uccidere le brucelle: sono sufficienti 10 minuti a 60° C perché vengano eliminate. Viceversa, il freddo non elimina i batteri: nella carne congelata possono essere presenti batteri vitali anche dopo un anno.

Sintomi comuni

Una volta contratta l’infezione (generalmente per via alimentare, come la salmonellosi) i sintomi non sono quasi mai immediati, ma si manifestano mediamente dopo due settimane, talvolta anche dopo mesi. Pertanto è molto difficile sospettare la causa del malessere se non si conoscono i rischi di contagio.

I sintomi sono comuni a molte malattie infettive e virosi, con quadri improvvisi di febbre, forte mal di testa, dolori osteo-muscolari e diarrea oppure con quadri più insidiosi con debolezza, dolori diffusi ai muscoli, dolore al collo, febbricola soprattutto la sera, abbondante sudorazione. La febbre intermittente (alta la sera, assente al mattino) può durare anche più di un mese.

Generalmente la forma acuta guarisce spontaneamente dopo due-tre settimane, anche se non trattata. Se ciò non accade la malattia evolve nella forma cronica, con sintomi più gravi a carico delle articolazioni, con dolori diffusi, alterazioni dell’umore, forte stitichezza e ingrossamento di fegato milza e linfonodi. Rari (meno del 5%) sono i casi in cui l’interessamento delle valvole del cuore provoca endocardite o complicanze a carico del sistema nervoso centrale (neurobrucellosi) e delle ossa (osteomielite).

Ricadute non infrequenti

Per confermare la diagnosi di brucellosi, il cui sospetto è prima di tutto clinico in base all’anamnesi (notizia di consumo di cibi a rischio, manipolazione di materiale biologico potenzialmente infetto), è necessario effettuare test di laboratorio.

Il più accessibile è il titolo anticorpale, che va testato durante la fase sintomatica ma anche durante la convalescenza per monitorare la guarigione ed eventuali ricadute, che possono avvenire in un paziente su dieci entro l’anno. Talvolta è necessario un esame colturale del sangue. Poiché le brucelle crescono dopo più di sette giorni in coltura, bisogna avvisare il laboratorio di analisi del sospetto di brucellosi per protrarre la coltura del campione. Una volta confermata la diagnosi, la terapia consiste nell’assunzione di antibiotici specifici.

Se l’infezione non viene completamente debellata, le ricadute non sono infrequenti. Dopo la guarigione l’immunità non è permanente: è possibile reinfettarsi, per cui è fondamentale mettere in atto misure di prevenzione della reinfezione.

Fondamentale la prevenzione

lavorazione latte per formaggi
Nel caso del contagio per ingestione, il rischio interessa chiunque ingerisca latte e derivati non pastorizzati o carni crude o insaccate • © Schiros / shutterstock

Si tratta di una malattia difficile da diagnosticare, non sempre facile da eradicare e con possibilità di reinfezione. È dunque fondamentale sapere come prevenire la brucellosi. Le norme più importanti riguardano l’assunzione di derivati di latte e carne non cotti.

I formaggi ottenuti da latte crudo e non stagionati sono gli alimenti più a rischio. Il consumo di carni crude di animali potenzialmente infetti è un’altra via di contagio da evitare. Anche la manipolazione di spoglie di animali o sostanze organiche (urina, feci, sangue, placenta) senza i comuni dispositivi di protezione (guanti, occhiali) va evitata.

In caso di esposizione certa di persone ad alto rischio è possibile proporre la profilassi antibiotica (assunzione di terapia senza che la malattia si sia manifestata né sia stata diagnosticata). Il vaccino animale non è utilizzabile nell’uomo perché si traduce in infezione.

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