L’Arcicaccia commenta il caos che s’è sviluppato intorno al calendario venatorio dell’Umbria, e comincia a muoversi in vista della prossima stagione.
La responsabilità più grave è di chi ha sostenuto «posizioni demagogiche», estranee a ogni principio razionale: commentando il caos che s’è sviluppato intorno al calendario venatorio dell’Umbria, «un disastro annunciato» già al momento dell’approvazione, l’Arcicaccia critica le mosse delle altre associazioni, al cui controricorso (è andata malissimo) non ha aderito perché «nessuno si è fatto promotore di un’azione condivisa; e soprattutto perché difendere le decisioni spetta a chi le ha sostenute, non a chi le subisce».
L’Arcicaccia nega d’aver criticato la vecchia giunta regionale per ragioni politiche: nonostante il profilo fieramente progressista, «non [ci siamo] mai permessi di mancare di rispetto all’assessore Morroni né ai consiglieri leghisti, anche quando [eravamo] in disaccordo».
Per una caccia etica, moderna e sostenibile
Ora però è in carica una giunta d’un colore diverso (la guida Stefania Proietti, indipendente di centrosinistra), alla quale in vista della prossima stagione l’Arcicaccia ritiene che si debba chiedere «solo ciò che è consentito: il resto è anacronistico».
All’assessora Simona Meloni l’Arcicaccia rivolge l’invito di dare attuazione completa ai piani di gestione delle specie in declino (tortora, allodola), e di rivedere ruolo e funzione degli Atc «perché diventino il motore della gestione faunistica».
Ribadendo la necessità di difendere la caccia etica, moderna e sostenibile, e di non parlare alla pancia dei cacciatori, l’Arcicaccia segnala che i problemi nascono dal recepimento dell’articolo 42 della legge comunitaria, che vieta la caccia agli uccelli «durante il ritorno al luogo della nidificazione, e il periodo della nidificazione, della riproduzione e della dipendenza».
Le associazioni venatorie che contestano quanto accaduto in Umbria, si legge nella nota, sono le stesse che nel 2010 sostennero il recepimento: «Federcaccia, Anuu migratoristi, Libera Caccia ed Enalcaccia, allora riunite nel comitato Face Italia, accusavano l’Arcicaccia, che già allora prese le distanze da quel provvedimento»; ma già allora era evidente che «non esistevano le basi scientifiche per recepire la direttiva comunitaria».
L’Arcicaccia ricorda che quindici anni fa subì l’accusa «d’essere contro i cacciatori»: le altre sigle sostenevano che «la modifica avrebbe [aumentato] tempi [di caccia] e specie [cacciabili]; e invece da allora non abbiamo trovato più pace».
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