Per vie diverse sia nelle Marche sia in Umbria sia in Calabria della legge sui calendari venatori vince l’interpretazione più restrittiva.
Per quanto poco ampio sia il campione (tre le regioni coinvolte), il 100% rappresenta un’indicazione chiara: almeno per questa stagione esiste una sola possibile interpretazione dell’articolo di legge sui calendari venatori, modificato poco meno d’un mese fa.
È quella più restrittiva: la «sentenza che definisce il merito» non è la sentenza definitiva alla fine del procedimento, ma in ogni grado di giudizio quella che supera gli eventuali decreti e le eventuali ordinanze cautelari.
Lo aveva capito subito la giunta regionale delle Marche, che a qualche ora dall’approvazione della finanziaria aveva chiarito che la clausola di salvaguardia non si sarebbe potuta applicare al suo calendario valido per la stagione in corso; così s’era presa le critiche della Libera Caccia, che aveva definito le sue conclusioni «macroscopicamente erronee».
La giunta regionale dell’Umbria l’ha capito più tardi, tempistica forse condizionata dal cambio di colore in corsa (dopo aver vinto le elezioni, Stefania Proietti ha sostituito Donatella Tesei a stagione già avviata). C’è stato bisogno d’un ulteriore passaggio al Consiglio di Stato per disporre la chiusura anticipata della caccia al tordo e alla beccaccia. Interpellato dalle associazioni venatorie, il Tar ha chiarito che la clausola di salvaguardia non può applicarsi a stagione in corso.
Dunque non è tornato in vigore l’ultimo calendario valido; non è accaduto neppure in Calabria, regione in cui nelle scorse ore il Tar ha stabilito che la nuova formulazione della legge non si applica in presenza di una sentenza che, anche se in primo grado, «ha definito il merito del ricorso» superando qualsiasi eventuale decisione cautelare.
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