Intervista a Franco Zunino

Intervista a Franco Zunino
© Sara Zunino

L’intervista a Franco Zunino, segretario generale dell’Associazione italiana wilderness, consente di capire che conservazione e fruizione dell’ambiente non sono in contraddizione tra loro.

«Vorrei precisare che non mi è mai piaciuto definirmi ambientalista, bensì casomai, conservazionista»: inizia così l’intervista a Franco Zunino, segretario generale Aiw.

La fruizione della natura è un caposaldo del pensiero della Wilderness, che prevede un compatibile ed equilibrato utilizzo delle risorse da parte dell’uomo. C’è quindi spazio anche per la caccia?

Certo, anzi oso dire che la caccia ne sia una delle componenti essenziali. La wilderness come è intesa dai popoli anglosassoni è la natura rimasta originaria, dove l’uomo non è altro che un suo membro, come lo sono il cervo e il lupo. E come il lupo preda il cervo, così l’uomo ha il suo posto tra i predatori proprio per la stessa ragione: la ricerca del cibo animale, un’idea che è ben espressa già dai tempi biblici.

Certo, la questione è la quantità delle prede. Perché se il lupo o l’orso o l’aquila riescono a predare e si accontentano solo del necessario, perché eccedere sarebbe un inutile dispendio energetico, l’uomo, in quanto essere intelligente, dovrebbe comportarsi similmente. Per questa ragione noi non siamo contrari a una caccia etica, che miri più al piacere della caccia che non alla quantità del carniere.

Ovvio che il cacciatore moderno questa regola se la deve dare, mentre le tribù primitive si comportavano come gli animali. Non è che, come spesso si vuol far credere, rispettassero le loro prede per un’idea ecologista. Sapevano, come istintivamente sanno gli altri animali, che se predavano troppo la volta successiva avrebbero trovato meno prede. Non solo: sapevano anche che uccidere più del necessario rappresentava uno spreco in assenza di un valido sistema di conservazione.

Intervista a Franco Zunino: caccia e conservazione

Lei sostiene che la caccia è l’ultimo dei problemi ambientalisti e che può avere una positiva valenza gestionale. Può definirmi quello che dovrebbe essere il ruolo del cacciatore nella conservazione?

È semplice, però la massa dei cacciatori o non ne è cosciente o ha difficoltà a comprenderlo per ragioni che le dirò: farsi essi stessi conservazionisti. Non è che i conservazionisti o i protezionisti siano una categoria particolare. Sono tutti i cittadini che hanno un amore o una passione per la vita all’aria aperta e tutti uniti difendono la natura sostenendo le rispettive associazioni di riferimento. Come gli alpinisti o gli escursionisti o gli ornitologi o i botanici pensano sì ai loro interessi ludici o anche di ricerca, ma sono poi uniti nelle cosiddette associazioni ambientaliste per difenderli, così dovrebbero fare i cacciatori se vogliono che siano accettati dalla società civile.

I cacciatori hanno invece quasi timore, alcuni si sentono addirittura offesi di essere citati come ambientalisti anziché esserne orgogliosi. Non devono limitarsi ad accettare l’ostracismo e l’isolamento in cui li hanno spinti gli oppositori alla caccia, ma devono metterli in difficoltà usando il loro stesso metodo: il conservazionismo. Battersi anche loro per salvare luoghi naturali o selvaggi e la loro fauna, tanto più se così questi luoghi non vengono chiusi alla caccia, dovrebbe essere anche il loro scopo; se non dei singoli, almeno delle organizzazioni venatorie. Furono la visione e lo scopo di famosi conservazionisti quali Aldo Leopold, Theodore Roosevelt o Sigurd Olson. Erano tutti appassionati cacciatori.

La caccia etica

A questo punto possiamo arrivare a definire quando la caccia si può dire etica e quando invece non lo è. So che Aiw è favorevole all’uso di sistemi (arco e avancarica) di minor impatto che per inciso esaltano la conoscenza del bosco e del selvatico insidiato. Ma il cacciatore può definirsi conservazionista anche utilizzando moderni armi a percussione e un’ottica di puntamento?

Ripeto, la caccia è etica quando mette al primo posto la passione e il piacere di viverla e di vivere il mondo naturale, e non già la mera cattura della preda e il carniere da riempire a tutti i costi. È etica quando il cacciatore uccide nel modo meno cruento possibile; quando la preda viene utilizzata per fini alimentari; quando non utilizza mezzi eccessivamente moderni che facilitano non tanto il suddetto piacere, quanto la cattura della preda.

Le armi moderne sono altresì etiche se limitano l’eccesso di spari consecutivi. La stessa ottica può considerarsi etica perché, se è vero che facilita l’abbattimento delle prede, giustifica un solo colpo e fa anche sì che raramente l’animale venga ferito, e che addirittura si accorga di essere ucciso; questo invece non succede mai nei macelli, dove c’è sempre un cerimoniale da seguire prima dell’atto finale.

L’intervista completa sarà pubblicata su Caccia Magazine marzo 2021, in edicola dalla prossima settimana.

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