Peste suina africana: i cacciatori? Le prime sentinelle

Peste suina africana i cacciatori Le prime sentinelle
© Serkan Mutan / shutterstock

Il mondo venatorio ha un ruolo fondamentale nella prevenzione della peste suina africana. I cacciatori sono infatti sentinelle del territorio e fulcro di un monitoraggio sanitario che si basa sulla raccolta di ogni possibile informazione utile alla collettività. È dunque fondamentale segnalare nell’immediato il rinvenimento di cinghiali morti o l’eventuale sospetto di malattia all’atto dell’eviscerazione dei selvatici prelevati

La peste suina africana (PSA) incombe sulle popolazioni di suini e di cinghiali europei. È una grave malattia che, oltre ad avere un impatto devastante sulla salute e sulle popolazioni di suini e cinghiali, può creare un danno immenso all’economia nazionale. Che cosa possono fare i cacciatori per prevenire l’ingresso della patologia sul nostro territorio e che cosa si potrebbe fare nel malaugurato caso in cui dovesse scoppiare un focolaio epidemico? Se ne è parlato ampiamente durante un incontro promosso dalla Società italiana di ecopatologia della fauna (Sief) ad Arezzo. L’evento, dal titolo “Formare ed informare i portatori di interesse per la early detection e il controllo della peste suina africana nel cinghiale”, si è svolto in collaborazione con l’Ente nazionale della cinofilia italiana (Enci) e con il patrocinio della Provincia di Arezzo e del ministero della Salute.

Peste suina africana: l’esigenza di una formazione specifica

Questo evento, il primo di una futura serie di incontri nell’ambito della formazione per conduttori di cani da detection e per formatori in ambito venatorio, ricade in un progetto di più ampio respiro. Nasce dalla collaborazione tra le due associazioni organizzatrici che intendono fronteggiare l’attuale emergenza, in Europa e non solo, relativa all’espansione di questa malattia, estremamente impattante sulle produzioni suinicole e contro la quale non esiste ancora alcun vaccino.

Bisogna infatti tener presenti la grande diffusione e abbondanza del cinghiale sul territorio nazionale e il gravissimo impatto economico che l’introduzione della peste suina africana comporterebbe. Ecco perché appare quanto mai opportuno offrire una formazione specifica a medici veterinari e faunisti che si interfaccino con il mondo venatorio. I cacciatori sono infatti una componente imprescindibile per la gestione della specie target della malattia a integrazione e completamento dell’intensa attività informativa già in corso da parte di diversi enti come ministero della Salute, Centro di referenza nazionale pesti suine, servizi veterinari regionali, istituti zooprofilattici sperimentali, aziende sanitarie.

Peste suina africana: contenere il rischio

Il dottor Francesco Feliziani (Centro di referenza nazionale per le pesti Suine presso l’Izs Umbria e Marche) ha inquadrato la malattia. Le esperienze nazionali (Sardegna) ed estere, attuali e storiche, possono definire i possibili scenari che conseguono all’introduzione della peste suina, incluso l’impatto sulla suinicoltura e in generale sull’economia italiana. Si stima che per un solo focolaio di peste suina africana si rischierebbe la perdita di oltre 5.000 posti di lavoro, oltre all’abbattimento di migliaia di maiali e al blocco delle esportazioni delle carni e dei salumi di suino. Feliziani ha ben chiarito i notevoli ostacoli all’eradicazione della malattia. Il principale è l’estrema resistenza ambientale del virus, in grado di sopravvivere a lungo non solo nel suolo, ma anche nelle carni crude delle specie sensibili (suini domestici e cinghiali, la stessa specie), anche se trattate tramite salagione o stagionatura.

Peste suina africana: l’informazione è cruciale

Un altro fattore importante è la facilità di trasmissione del virus tra soggetti. Ciò avviene non solo per contatto diretto tra animali infetti e animali sani, ma anche indirettamente per contaminazione dell’ambiente, di strutture, attrezzature, indumenti e veicoli. Questa seconda modalità è alla base del cosiddetto fattore umano, ossia il trasporto dell’infezione da parte dell’uomo, potenzialmente anche a grandi distanze. È un rischio molto temuto, in ragione della sua imprevedibilità e dei consistenti movimenti di persone, veicoli e merci tra zone in cui la peste suina africana è presente e zone indenni.

Ciò ha evidenziato ancora di più l’importanza dell’informazione al grande pubblico e di una specifica formazione alle categorie direttamente coinvolte. Solo così si può ridurre il più possibile il rischio di introduzione del virus nel nostro territorio. È infatti opportuno che il mondo venatorio prenda coscienza del fatto che l’eventuale importazione di carni infette e materiale contaminato sul territorio nazionale potrebbe essere la miccia da cui può innescarsi un focolaio epidemico, con gravi ricadute dal punto di vista sia faunistico sia economico.

La sorveglianza contro la peste suina africana

Feliziani ha riassunto le azioni fondamentali da intraprendere per essere preparati ad una possibile emergenza.

  • L’innalzamento del livello di allerta, considerati i recenti focolai non lontani dai nostri confini (Serbia) e gli episodi di trasporto dell’infezione a distanza che già si sono verificati (Repubblica Ceca, Belgio).
  • L’incremento dell’attenzione sulla sorveglianza passiva, ossia il pronto segnalamento alle autorità competenti di carcasse di cinghiale o di cinghiali sintomatici o con evidenti lesioni sul territorio. Se non presente, un sistema di sorveglianza passiva dovrebbe essere prontamente implementato.
  • La collaborazione tra enti nella gestione della specie cinghiale, imprescindibile anche per una sorveglianza passiva efficace.
  • L’innalzamento del livello di biosicurezza, da sviluppare ulteriormente attraverso un’analisi del rischio.

Peste suina africana: un piano per il 2020

Questi punti sono anche alla base del piano di sorveglianza nazionale della peste suina africana per il 2020. I suoi obiettivi sono l’allerta precoce, l’analisi del rischio e l’eradicazione della malattia in Sardegna. Nell’isola infatti la peste suina africana è presente ormai da decenni. Il piano includerà inoltre azioni di formazione, soprattutto sulla sorveglianza passiva, e quindi sulla ricerca di animali morti o con segni clinici di malattia. E ancora una volta emerge il ruolo basilare del mondo venatorio. I cacciatori sono autentiche sentinelle del territorio e fulcro di un monitoraggio sanitario che si basa sulla raccolta di ogni possibile informazione utile alla collettività.

È cruciale segnalare nell’immediato il rinvenimento di cinghiali morti o l’eventuale sospetto di malattia all’atto dell’eviscerazione dei selvatici prelevati. Questo fattore è di fondamentale importanza nell’applicazione di un livello di sorveglianza. Maggiori segnalazioni arrivano ai centri di referenza, maggiore è infatti il grado di accuratezza nell’evidenziare l’eventualità di un avvio di focolaio epidemico. Di conseguenza maggiore sarà la capacità di controllarlo nell’immediato ed estinguerlo, arrecando il minor danno possibile all’attività venatoria e alla zootecnica. Eventuali ritardi nella segnalazione di cinghiali morti ridurrebbero drasticamente le possibilità di controllare l’infezione. Ne deriva il rischio di aumentare le aree di divieto all’attività venatoria stessa.

Per una precoce individuazione della peste suina africana

Il dottor Vittorio Guberti (Ispra) ha focalizzato l’attenzione su quali debbano essere le varie misure per garantire una maggiore probabilità di identificazione precoce ed eradicazione. Infatti anche l’Italia, seppur al momento a basso rischio, deve essere comunque considerata a rischio, come attualmente ogni altro Paese europeo. È dunque indispensabile prepararsi fin da ora a una possibile introduzione del virus. Guberti ha quindi affrontato le modalità di gestione della malattia nel cinghiale.

Il primo presupposto è l’individuazione precoce (early detection), essenziale per ridurre al minimo le dimensioni dell’area da gestire in caso di focolaio e incrementare così le probabilità di eradicazione. Tra le componenti che devono essere preparate spicca anche il mondo venatorio, sia in chiave di sorveglianza e identificazione precoce della malattia, sia in termini di collaborazione nel caso di epidemia conclamata per intervenire nel controllo della patologia. In caso di introduzione della patologia nel cinghiale, l’area da gestire deve essere strutturata in modo da limitare la diffusione dell’infezione ed evitare il contatto tra cinghiali selvatici e suini allevati.

Evitare la diffusione della peste suina africana

Il sistema può essere rappresentato schematicamente come una serie di cerchi concentrici. Al centro si situa un’area core, delimitata sulla base della localizzazione dei casi nei cinghiali in campo. È circondata a sua volta da un’area buffer calcolata in base all’home range annuale della specie. Sia nell’area core sia nell’area buffer sono assolutamente vietati non solo la caccia e il foraggiamento, ma anche l’accesso a chiunque non sia residente.

All’esterno dell’area buffer, un’altra fascia costituisce l’area ufficialmente infetta. Vi si possono effettuare solo abbattimenti selettivi, in particolare delle femmine adulte, con opportune misure igienico-sanitarie e comunque con l’obbligo di distruggere i selvatici abbattuti. L’ultima fascia è infine quella che delimita l’area infetta. Qua l’obiettivo è ridurre il più possibile la popolazione di cinghiale con una caccia intensiva, in alcuni Paesi supportata anche da incentivi economici. In quest’area comunque l’eviscerazione dei cinghiali abbattuti non può essere effettuata in campo, ma solo presso apposite strutture che permettano un sicuro smaltimento dei visceri. Fino a esito negativo degli esami di laboratorio, ai quali tutti i cinghiali abbattuti devono essere sottoposti, vi dovranno essere trattenute tutte le carcasse.

Sono inoltre previste restrizioni nell’utilizzo dei mezzi di trasporto, che dovranno essere autorizzati, disinfettabili e comunque non dovrebbero abbandonare l’area infetta. Inoltre, indumenti e attrezzature utilizzati per l’attività venatoria e per il trattamento delle carcasse devono essere lavati e disinfettati regolarmente. Vietato spostarli tra i diversi centri di raccolta. Sono peraltro definiti limiti anche per l’utilizzo e la movimentazione di cani da caccia. Infine, aspetto importantissimo, in tutte le aree è fondamentale ridurre al minimo la contaminazione ambientale con la ricerca attiva e la rimozione delle carcasse di cinghiale dal terreno. Ognuna di queste dovrà infatti essere sottoposta ad analisi per peste suina africana e distrutta secondo corretti protocolli igienico-sanitari.

La prevenzione della peste suina africana

Le misure di biosicurezza sono state oggetto anche dell’intervento del dottor Carlo Citterio (Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie), definendola come “il complesso di misure atte a impedire l’introduzione di un patogeno in un insieme di animali in cui questo non sia presente oppure, se già presente, a limitarne la diffusione”. È essenziale che i Paesi a rischio di introduzione pensino in anticipo a queste misure e comincino ad applicarle almeno a livello base prima dell’eventuale arrivo della malattia. Organizzare un sistema di sorveglianza e controllo della peste suina africana infatti è già molto difficoltoso in tempo di pace. Diventerebbe pressoché impossibile dopo il suo arrivo. È richiesto ai cacciatori di segnalare tutti i cinghiali rinvenuti morti sul territorio al fine di organizzare fattivamente un monitoraggio passivo. Ed è inoltre essenziale muoversi nel rispetto di alcune norme igieniche e di buonsenso.

Considerando il livello di allerta attuale nel nostro paese, le carcasse di cinghiali trovati morti che non presentino lesioni evidentemente compatibili con peste suina africana possono essere per il momento gestite con criteri di igiene e biosicurezza di routine. Per massimizzare il numero di campioni inviati per la sorveglianza passiva, potrebbe essere sufficiente che le autorità sanitarie e gli enti preposti alla gestione faunistica e venatoria si accordassero per un prelievo della sola milza in campo, se possibile conservando la carcassa in un posto sicuro fino a esito degli esami diagnostici. Per questa operazione sarebbero sufficienti una formazione ad hoc e una dotazione minima (un coltello, un paio di guanti, piccoli contenitori a tenuta per la raccolta di campioni biologici, sacchi impermeabili resistenti per la temporanea messa in sicurezza delle carcasse rinvenute e un comune disinfettante).

Peste suina africana: occhio al trasporto delle carcasse

Sarebbe invece sin d’ora da evitare il trasporto di carcasse intere di cinghiali trovati morti, magari come quasi sempre avviene su mezzi privati. Questa modalità, pur intrapresa con le migliori intenzioni, non è in alcun modo gestibile in biosicurezza. Nel caso ci imbattessimo in una carcassa infetta, diventeremmo noi stessi i diffusori del virus, anche a distanza e velocità molto maggiori di quelle che potrebbe avere con un avanzamento naturale nel cinghiale.

Nel frattempo, tuttavia, appare assolutamente necessario sviluppare il sistema in preparazione dell’occorrenza di un fondato sospetto, dell’innalzamento del livello di allerta e dell’eventuale introduzione della peste suina africana. Questa organizzazione dovrebbe prevedere, tra le altre, regole e competenze in merito all’identificazione, rimozione, campionamento e smaltimento dei cinghiali morti; ai punti di raccolta e lavorazione, allo smaltimento dei visceri; all’identificazione e autorizzazione dei mezzi di trasporto, alle procedure di lavaggio e disinfezione; nonché relativamente allo spostamento di mezzi, attrezzature e persone.

Caccia al cinghiale: i limiti della braccata

La dottoressa Elisa Armaroli dello Studio Geco ha posto in risalto la situazione italiana odierna sul prelievo del cinghiale. Si vede crescere esponenzialmente (+150%) la popolazione dei selvatici, ma diminuire numericamente e invecchiare quella dei cacciatori (-18%). La caccia costituisce normalmente la prima causa di mortalità del cinghiale, ma preleva una quota insufficiente a contenerne l’incremento, che costituisce oggi un serio problema non solo in termini sanitari. Si pensi per esempio ai danni all’agricoltura. La caccia tende inoltre a insistere su determinate classi di sesso ed età, ottenendo il ringiovanimento generale e una minor strutturazione della popolazione.

Armaroli ha quindi illustrato criticamente i diversi metodi di caccia al cinghiale: braccata, girata e selezione. Sebbene la braccata risulti il metodo più efficace in termini numerici, ha tuttavia in sé delle criticità evidenti legate alla poca o nulla selettività. Ne consegue il fatto di destrutturare la popolazione in termini di rapporto tra i sessi e classi di età. La gestione faunistico-venatoria dovrebbe quindi diventare sempre più adattativa, ossia finalizzata alla mitigazione dei conflitti e dei danni alle attività antropiche. In questo tema sono certamente da includere le misure tese a minimizzare il rischio di introduzione e a massimizzare le probabilità di eradicazione della peste suina africana.

Peste suina africana: è essenziale saper comunicare

Il dottor Roberto Viganò dello Studio associato AlpVet ha ben evidenziato le criticità legate alla comunicazione tra mondo scientifico e mondo venatorio. Statistiche alla mano, ha sottolineato quanto poco i cacciatori italiani conoscano il problema delle malattie della fauna selvatica. La legislazione corrente purtroppo non prevede nessun obbligo di aggiornamento da parte dei possessori di licenza di caccia. In questo contesto diventa dunque difficilissimo raggiungere con una adeguata comunicazione tutti gli interessati, a maggior ragione quando risulterebbe particolarmente utile, come nel caso della peste suina africana.

Sarebbe infatti essenziale che il mondo venatorio, adeguatamente preparato, si rendesse parte attiva nella sorveglianza della peste suina africana. In caso contrario sarà infatti ancor più difficile prevenire l’ingresso della malattia e gestire l’eventuale insorgenza di un focolaio di peste suina africana. Sarebbe un pericolo sia per l’attività venatoria sia per l’importantissimo settore economico legato all’allevamento e alle produzioni suine. In questo contesto il mondo venatorio ha una grande chance per dimostrare che il suo ruolo è in primordine quello di gestore del territorio. Ha così la responsabilità di salvaguardare la fauna selvatica e l’economia locale.

Peste suina africana: l’utilità dei cani addestrati

Presenti alla giornata di formazione anche Serena Donnini, responsabile del progetto Enci per la formazione di cani da detection per il rilevamento delle carcasse di cinghiale, e due addestratori Enci, Mario Fortebraccio e Francesco Pavone, che stanno seguendo il protocollo di formazione. Lo scopo del progetto è creare binomi conduttore-cane idonei al rilevamento delle carcasse di cinghiale. I binomi saranno utilizzati in operazioni di monitoraggio per la prevenzione e controllo della peste suina africana o di rimozione della totalità delle carcasse in caso di focolaio epidemico. Il protocollo di formazione prevede due fasi, quella di addestramento e una successiva verifica operativa a conclusione di un progression plan supervisionato. I cani al momento inseriti nella formazione sono tre, due springer spaniel e un segugio annoveriano.

Il protocollo di formazione prevede che il cane, in prossimità dell’odore target, esibisca un comportamento cosiddetto di segnalazione passiva. Deve cioè essere addestrato a segnalare la presenza del target immobilizzandosi o sedendosi in prossimità dello stesso senza averci alcun contatto. Ciò serve a mantenere ben saldi i principi di biosicurezza evidenziati. I cani addestrati alla detection di carcasse potranno consentire un monitoraggio rapido e non invasivo. Il lavoro si svolge sotto il controllo del conduttore e in silenzio, così da limitare il disturbo alla fauna non target presente nelle zone di monitoraggio e ridurne il rischio di un eventuale allontanamento su lunghe distanze da tale zona.

Anche il mondo venatorio è quindi richiamato alla responsabilità e all’azione. Non solo per tutelare la caccia che in aree infette da peste suina africana risulterebbe molto più difficile e costosa, se non addirittura compromessa per anni, ma anche per dimostrare la sua utilità sul territorio anche come presidio contro di una malattia che, mettendo in ginocchio un importante comparto economico, potrebbe avere pesanti conseguenze sociali.

Peste suina africana: promemoria

Nel caso di ritrovamento di carcasse di cinghiali si richiede di segnalarle immediatamente agli enti preposti. Si possono contattare polizia provinciale, Carabinieri forestali, servizi veterinari, istituti zooprofilattici competenti per il territorio. Per qualunque informazione è possibile scrivere a sief@sief.it.

Ha contribuito alla stesura di questo articolo anche Serena Donnini, che si ringrazia per la collaborazione.

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