Eviscerazione degli ungulati: non chiamatelo lavoro sporco

eviscerazione degli ungulati
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L’eviscerazione degli ungulati abbattuti è forse la fase più delicata e fondamentale di un’uscita di caccia condotta a buon fine. Va portata a termine con pazienza e attenzione e, oltre che tecnico-pratiche, ha connotazioni anche etiche e scientifiche. Proprio per questo è bene che un cacciatore consapevole ne conosca alla perfezione tutti i passaggi e sappia seguirli anche da solo

 Dopo la fucilata inizia il vero lavoro: lo si sente dire spesso, ma spesso si pensa al trasporto invece che all’eviscerazione degli ungulati. Che però è altrettanto impegnativa e forse ancora più importante. Se praticata con superficialità o poca esperienza, può infatti pregiudicare il corretto utilizzo della selvaggina a scopo alimentare.

Avendo mosso i miei primi passi a caccia dietro ai cani da ferma, per molti anni ho dato poco peso a questo argomento. D’altra parte la piccola selvaggina perdona un po’ di più le approssimazioni sotto questo aspetto. E in ogni caso il corretto trattamento di un fagiano o di una beccaccia non necessariamente va condotto sul campo. Oltretutto si risolve in pochi rapidi gesti, con possibilità quasi nulle di commettere errori.

Nella caccia di selezione invece cambia tutto. Innanzitutto per le intrinseche dimensioni ponderali dei selvatici e poi per le innumerevoli variabili (tiro piazzato non perfettamente, erroneo utilizzo degli strumenti da taglio, temperatura, elementi inquinanti) che possono se non pregiudicare quantomeno rendere più complicata tutta l’operazione.

Inoltre nella grandissima maggioranza dei casi è impensabile poter trasportare l’animale altrove per procedere alla pulizia. Salvo abbattimenti fortunosi a brevissima distanza dall’auto o dal nostro campo base, dovremo quindi arrangiarci in ambiente naturale con le ovvie scomodità che ciò comporta. Ciononostante si tratta di una competenza che il cacciatore di selezione deve necessariamente possedere e padroneggiare personalmente. Costituisce infatti una forma di rispetto nei confronti di un animale cui abbiamo tolto la vita per soddisfare la nostra passione.

Eviscerazione degli ungulati: un compito in prima persona

L’eviscerazione degli ungulati ha anche una grande utilità in senso tecnico-venatorio e scientifico. In primo luogo consente di osservare e valutare l’effetto terminale della fucilata, i danni alla spoglia, le eventuali criticità delle palle che utilizziamo a caccia. Inoltre l’esame del lavoro della palla, confrontato con il comportamento dell’animale dopo il colpo, costituisce un’esperienza fondamentale per il futuro, per eventuali miglioramenti o modifiche del nostro comportamento a caccia.

A volte, con un po’ di fortuna, la pulizia dell’animale può anche regalarci una piacevole sorpresa. È il caso dei preziosi bezoar prodotti dagli organi digestivi di camosci e stambecchi. È infine questo il momento in cui possono emergere eventuali problemi sanitari legati a malattie o patologie che possono compromettere in tutto o in parte il consumo della carne e che andranno prontamente segnalati alle autorità competenti in sede di controllo dell’abbattimento.

Mi spiace dirlo, ma trovo piuttosto umiliante assistere a situazioni in cui il cacciatore di turno, debitamente accompagnato e seguito sotto tutti gli aspetti, arriva sul selvatico abbattuto, dà un’occhiata al trofeo, una stretta di mano alla guida, dopodiché si disinteressa totalmente di ciò che accadrà al proprio animale. Intendiamoci: nulla di male nell’essere accompagnati a caccia, né nel farsi aiutare quando l’età, l’inesperienza o la scarsa conoscenza dei luoghi lo impone. Ma l’interesse, la curiosità, la sete di sapere anche negli aspetti più pratici e minuziosi della caccia dovrebbero costituire l’imprinting necessario a ognuno di noi per farci diventare sempre più consapevoli di ciò che facciamo.

Gli strumenti per una pulizia rapida ed efficace

Iniziamo col dire che l’eviscerazione degli ungulati va eseguita immediatamente – o almeno appena possibile, compatibilmente con il luogo in cui ci troviamo. Questo perché nel momento della morte si innescano da subito i primi processi di fermentazione e si sviluppano calore, gas e cariche batteriche assolutamente deleteri per la salubrità della carne. Se a questi si aggiungono le eventuali alte temperature esterne e le lacerazioni di organi interni dovuti alla fucilata, il pericolo di compromettere l’utilizzo del selvatico abbattuto aumenta esponenzialmente. Dunque è cruciale estrarre quanto prima i visceri e raffreddare il più possibile la carne.

Per portare a termine le operazioni di pulizia ed eviscerazione degli ungulati servono innanzitutto strumenti da taglio. Sotto questo aspetto il mercato ci presenta un vero e proprio universo: coltelli e seghetti, integrati o separati, a lama fissa o pieghevole, delle più disperate fogge e dimensioni. Da appassionato e quasi maniaco delle lame, posso dire di possederne una discreta quantità. Ma alla fine, in quasi vent’anni di pratica, sono approdato a ciò che ritengo un buon compromesso: un coltello basculante con manico in plastica morbida, che consente di alternare una lama inox con profilo drop point (punta leggermente orientata verso il basso) con un gancio evisceratore.

Il coltello deve sempre avere una generosa guardia che impedisca alla mano, scivolosa al contatto col sangue, di scorrere pericolosamente verso la lama. In aggiunta utilizzo da tempo un seghetto di sette centimetri con manico in sintetico. Questo abbinamento credo costituisca l’optimum in fatto di completezza, leggerezza, contenimento dello spazio, facilità di pulizia e lavaggio.

Non solo coltelli

Altro elemento essenziale: una buona dotazione di guanti di gomma. È bene infatti che le nostre mani (e le eventuali piccole ferite o graffi su di esse) non vengano a contatto con i fluidi corporei dell’animale o con elementi particolarmente contaminanti: sporcizia, parassiti, eventuali lesioni dell’animale dovuti a patologie. Ma pochi sanno che vale anche il contrario. Poiché la cavità addominale del selvatico su cui andremo a operare è perfettamente sterile, dobbiamo cercare quanto più possibile di mantenerla tale ed evitare di essere noi a introdurre elementi di contaminazione. I guanti quindi servono anche a questo. È meglio utilizzare i guanti in nitrile di colore blu e di spessore maggiorato, facilmente reperibili nei supermercati; quelli più delicati, di colore bianco, tendono a fessurarsi e rompersi in caso di contatto con le ossa o superfici anche minimamente affilate.

Sulla tecnica di eviscerazione degli ungulati e sulle sue diverse varianti sono stati scritti interi trattati, che non possono certo essere condensati in queste poche righe ma che invito caldamente a ricercare e consultare. Il risultato auspicabile sarà comunque sempre lo stesso. Bisogna ottenere la carcassa dell’animale abbattuto perfettamente pulita, non contaminata e pronta per la conservazione nella cosiddetta catena del freddo.

Poche regole fondamentali

Personalmente procedo come segue. Pongo l’animale schiena a terra, con il posteriore verso di me, preferibilmente con i quarti anteriori posti in leggera salita per favorire la fuoriuscita dei liquidi. Se si tratta di un esemplare maschio inizio con la rimozione del pene, del canale urinario e dei testicoli tagliando e tirando verso il basso. Dopodiché inizio il lavoro di apertura della cavità addominale.

Questo è il momento più delicato: un’accidentale perforazione del rumine o dell’intestino potrebbe pregiudicare la pulizia di tutta l’operazione. Occorre procedere con un coltello molto affilato, con delicatezza, fino a ottenere una piccola incisione del basso ventre; bisogna raggiungere la zona intestinale senza danneggiarla e aiutarsi con la pressione delle dita. Una volta ottenuta l’incisione, il gancio evisceratore mi consente di scorrere verso l’alto fino allo sterno, senza pericolo di danneggiare gli organi interni. Arrivato alla base dello sterno, con il coltello devo fare forza in mezzo alle costole fino ad aprire il torace raggiungendo la base del collo. L’apertura verso l’alto è così completa.

Successivamente completo il taglio anche verso il basso, lavorando con il coltello (attenzione a non perforare la vescica) fino a toccare la sinfisi pubica, cioè quel breve spessore di osso che tiene unite le due metà del bacino. Andrà aperta con il seghetto in modo da creare uno spazio per il comodo deflusso del sangue.

A questo punto posso cominciare a separare l’insieme degli organi interni dalla carcassa. Inizio dall’alto, tagliando trachea ed esofago a raso della gola e facendo un piccolo nodo sull’esofago per evitare un eventuale reflusso di cibo all’interno della cavità.

Occhio alla contaminazione

Alcuni procedono eliminando del tutto da subito anche la parte alta di trachea ed esofago, e a volte anche a volte la lingua. Io preferisco tenere questi lavori di fino per la lavorazione casalinga. Con il coltello posso quindi scendere tagliando, seguendo la superficie interna del costato, tutte le aderenze e, più in basso, il diaframma. Ora, gli organi interni saranno quasi del tutto separati dalla spoglia.

Rimane da effettuare, con molta attenzione per evitare contaminazioni di feci, un taglio ad anello intorno all’ano. In questo modo si separa completamente anche l’ultimo tratto dell’intestino. Per estrarre senza problemi tutte le viscere, è quindi sufficiente tirare delicatamente con entrambe le mani tutto il pacco addominale e intestinale verso il basso, con il favore della piccola pendenza.

Eliminare ogni residuo, ma senza acqua

Se la fucilata ha colpito correttamente l’area cardio-polmonare, molto probabilmente vi sarà un certo quantitativo di sangue che, proveniente da polmoni o cuore, tenderà a ristagnare nella cassa toracica. Per eliminarlo è sufficiente sollevare i quarti anteriori del selvatico e farlo scorrere attraverso l’apertura della sinfisi pubica precedentemente effettuata. In alternativa, se è possibile, possiamo porre l’animale con l’apertura verso il basso a scolare per qualche minuto, ma solo ed esclusivamente a condizione che l’interno della cassa non possa venire a contatto con l’ambiente esterno e con elementi contaminanti.

La pulizia finale degli ultimi residui di sangue o di tessuti può essere effettuata con una generosa dose di carta assorbente (quella che si usa in cucina, per intenderci). È l’ultimo tassello da non dimenticare in un perfetto kit di eviscerazione. La carta assorbente è utilissima per tamponare tutto l’interno della carcassa e rimuovere ogni liquido o elemento indesiderato.

Assolutamente fondamentale è non usare mai l’acqua, anche se disponibile in quantità, per pulire l’interno della carcassa. Contrariamente a quanto potrebbe sembrare ovvio, l’acqua non fa altro che diffondere le cariche batteriche presenti all’esterno, sul terreno o sul pelo dell’animale, portandole all’interno della cavità che invece è e deve rimanere sterile e pulita.

Carta assorbente e coltello, di nuovo

Anche in caso di colpo malauguratamente piazzato male, che abbia lacerato il rumine o l’intestino, l’utilizzo dell’acqua sarà soltanto deleterio. Può infatti arrivare a trascinare anche sottopelle i liquidi e i batteri fuoriusciti, destinati a proliferare e a rendere inutilizzabile la carne. Molto meglio agire accuratamente con la carta assorbente, cercando di eliminare con attenzione ogni particella di sporcizia fino a lasciare comunque ben asciutta la cavità.

Nella successiva fase del porzionamento dei tagli di carne, da fare a casa o comunque in un locale idoneo e pulito, potremo poi eliminare con un coltello tutte le parti potenzialmente entrate in contatto con i fluidi dannosi.

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