Cinghiale che passione n.2 Febbraio-Marzo 2019

Editoriale

Chi sta al centro?

A inizio gennaio, l’attraversamento di un tratto dell’autostrada A1 tra Lodi e Casalpusterlengo da parte di tre cinghiali ha provocato un incidente che ha coinvolto più auto provocando un morto. Negli stessi giorni, altre due autovetture sono rimaste seriamente danneggiate in un altro impatto tra Fiorenzuola e Fidenza, stavolta fortunatamente senza feriti. Sarebbero circa 400, secondo Coldiretti, gli incidenti che hanno coinvolto cinghiali e automezzi dal 2013 a oggi nella sola Lombardia. Altre fonti parlano di 14 morti e 205 feriti come risultato di 138 incidenti stradali causati dai selvatici in un solo anno. Parlare di emergenza, in questo caso, non aiuta, perché sposta l’attenzione sulla caccia quale causa dello squilibrio ambientale. In effetti l’attività venatoria svolta negli anni passati, e parlo ovviamente delle immissioni illegali di selvaggina sul territorio nazionale da parte di alcuni “ingordi”, ha contribuito ad accelerare la questione, ma un osservatore che non sia accecato dall’ideologia non può ignorare che problemi simili, pur con incidenze differenti, sono presenti in tutta Europa. In questo contesto una caccia moderna, intesa in senso sostenibile e volta al riequilibrio dell’ambiente, si trasformerebbe da causa a soluzione. Ma, di nuovo, l’ideologia di chi si oppone ignorando che cosa sarebbe la nostra nazione senza una seria attività di controllo ci condanna a priori.

Così, di fronte a chi nell’immediatezza dell’incidente che ha avuto risalto su quotidiani e telegiornali nazionali chiedeva misure di emergenza – sempre inefficaci perché ispirate dall’emozione e non dal raziocinio – e a chi suggeriva provocatoriamente una bella dieta a base di carne di cinghiale, sono riemerse posizioni radicali antispeciste, vegane, animaliste che nulla hanno a che fare con la posizione che l’uomo ha in un mondo che ha avuto il merito o il demerito, di questo potremmo parlare per ore, di plasmare a sua immagine. O almeno in funzione di sé. Sono così incappato nel blog di un filosofo antispecista, vegano, che insegna Filosofia del progetto al Politecnico di Torino. Si chiama Leonardo Caffo e, come scrive parlando di sé, crede “che gli animali abbiano il nostro stesso diritto di stare al mondo e […] nell’ecologia come relazione”.

È autore, tra l’altro, di “Vegan”, un testo dedicato agli “attivisti per la liberazione animale”. Fin qui potrei contestare il pensiero di Caffo da un punto di vista razionale ma il giovane filosofo catanese, nel suo blog, va oltre asserendo che “la Shoah sia una bazzecola rispetto alla questione degli animali”. Al netto dei distinguo che seguono, ritengo che la sua posizione sia estremamente grave sia per la mancanza di sensibilità nei confronti della persecuzione che un popolo ha seguito per le proprie convinzioni religiose, sia soprattutto perché rappresenta un grave ribaltamento della concezione che vorrebbe l’uomo al centro di ogni nostro pensiero.

Oltre a trovare opinabile la battaglia in difesa dell’animale, al di là di quel benessere che quando non impone la sensibilità personale impone giustamente la legge, mi scandalizza che opinioni di questo tenore possano essere accolte con accondiscendenza in una società in cui ancora si registrano disparità tanto profonde non solo tra continenti ma addirittura all’interno delle più piccole comunità nazionali, anche del cosiddetto primo mondo. Mi paiono forzature, interpretazioni acritiche della realtà, che perdono totalmente di vista quest’ultima in nome dell’ideologia. Un po’ come accaduto – era lo scorso novembre – con la rilettura e soprattutto la riscrittura in chiave femminista della Bibbia. Se la cosa l’avessero fatta persone accecate dall’ideologia, avrei derubricato la questione alle notizie di colore. Ma il fatto che questa operazione sia stata portata avanti addirittura da 20 teologhe significa che l’ideologia ha ormai pervaso il pensiero comune.

Scrive Caffo: “Sì, noi occidentali, se vogliamo vivere una vita giusta, abbiamo l’obbligo di diventare vegani. Non abbiamo altra scelta. L’uomo è un consumatore di suolo e la scelta vegan a livello alimentare – ad esempio – è la soluzione più veloce per ridurre il nostro impatto ambientale”. Anche se, bontà sua, è consapevole che “oggi essere animalisti sia una scelta di infelicità” pertanto non biasima “la miriade di persone che, coscienti della violenza delle nostra società, scelgono di non vedere”. Concludendo che viviamo in una sorta di Nazismo Democratico, dove “i carnivori sono gli schiavisti all’epoca di Seneca. Oggi guardiamo con ammirazione chi a quel tempo si rifiutò di sfruttare l’altro da sé – i vegani sono gli antischiavisti di oggi”.

Se il suo unico rimpianto è la certezza che lascerà “questo mondo senza aver fatto abbastanza per loro, per gli animali non umani”, il mio è quello di non poter fare abbastanza per gli umani. Specialmente oggi che la diffusione della peste suina in Europa potrebbe portare a un radicale cambiamento di prospettive venatorie e alimentari e avrà un impatto negativo sulla vita di molti. E di questo parliamo su questo numero di Cinghiale che Passione.

Matteo Brogi