Sentieri di Caccia n.2 Febbraio 2019

Editoriale

Peste suina africana: che cosa possono fare i cacciatori

Dopo aver toccato Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e, più a est, Moldavia, Ucraina, Bielorussia e Russia, con un salto da est a ovest, la peste suina africana è arrivata per la prima volta in Europa occidentale. Si è registrato un caso in Belgio e le autorità ritengono che il virus sia stato veicolato da un vettore umano. Non si spiegherebbe in altro modo, infatti, il “balzo” dall’Europa dell’est alla regione di Étalle, in Vallonia, nella provincia belga del Lussemburgo. Nessun pericolo per l’uomo, ma la PSA è un flagello che può avere gravi ripercussioni economiche su interi comparti produttivi dell’Ue. È chiaro, quindi, perché negli ultimi cinque anni il governo europeo abbia stanziato 48.200.000 euro per contrastare la malattia, senza però riuscire a mettere un freno.

Oggi il livello di attenzione è ulteriormente salito: l’eradicazione della peste suina africana in Europa e la gestione a lungo termine delle popolazioni di cinghiale sono stati i temi centrali della Conferenza ministeriale che si è svolta a Bruxelles poco prima della fine del 2018. Belgio e Repubblica Ceca, Stati membri colpiti dalla malattia, hanno evidenziato le misure messe in atto per la gestione delle carcasse e alcune caratteristiche ecologiche del virus nei casi di contagio dei cinghiali. Ed è emersa, inoltre, la necessità di incentivare gli sforzi per il miglioramento della cooperazione tra le componenti agricole, sanitarie e ambientali, e di definire una strategia di gestione, efficace e a lungo termine, del cinghiale, compatibile anche con le norme ambientali. Come riferisce una nota del ministero della Salute (fonte www.salute.gov.it), è stata incoraggiata l’adozione di piani di intervento per una drastica riduzione della densità dei cinghiali, da estendersi non solo alle aree già infette, ma anche a quelle indenni come la stessa Italia continentale (pur essendo presente in Sardegna dal 1978, dove la situazione è sotto controllo, la PSA non ha mai varcato i confini dell’Italia continentale). E a ruota della Conferenza di Bruxelles, si è svolta presso la Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari del ministero della Salute una riunione a cui hanno partecipato i massimi esperti nazionali in tema di peste suina africana, per la messa a punto di un piano di sorveglianza su tutto il territorio nazionale e per l’adozione del nuovo piano di eradicazione della malattia in Sardegna.

Sempre dal ministro della Salute sono state diffuse alcune note informative sulle attività di vigilanza permanente relative alla PSA. Anche i cacciatori sono ovviamente coinvolti e possono svolgere un ruolo importante nella prevenzione della malattia. Tra le precauzioni più stringenti quelle di non portare in Italia, dalle zone infette comunitarie e da Paesi extra-europei, prodotti a base di carne suina o di cinghiale, come, ad esempio, carne fresca e carne surgelata, di pulire e disinfettare le attrezzature, i vestiti, i veicoli e i trofei prima di lasciare l’area di caccia, di eviscerare i cinghiali abbattuti solo nelle strutture designate, di evitare i contatti con maiali domestici dopo aver cacciato e di informare tempestivamente i servizi veterinari del ritrovamento di un cinghiale selvatico morto. E non va dimenticato che i residui di carni suine fresche e stagionate di animali infetti possono rappresentare un grave rischio di trasmissione di malattie agli animali sani e devono essere sempre smaltiti solo in contenitori chiusi per rifiuti.

Alle linee guida europee istituzionali si sono unite le voci di Face (Federazione delle associazioni dei cacciatori e per la conservazione della natura dell’Ue) e Cic (Consiglio Internazionale della caccia e della salvaguardia della fauna), rivolte in primis a chi pratica il turismo venatorio: l’attenzione deve essere massima nel mettere in atto tutte le misure possibili per evitare la diffusione della PSA. E la gestione faunistico-venatoria del cinghiale – hanno chiesto inoltre a gran voce Face e Cic – deve essere concordata con tutti i portatori di interesse, cacciatori inclusi, da coinvolgere sia nella stesura sia nell’esecuzione dei piani. E il nostro ministero della Salute non ha esitato a coinvolgere le associazioni venatorie nazionali, affinché si facciano portavoce ai loro associati di quanto è nelle possibilità dei cacciatori per evitare il contagio.

Ma in pratica, al di là dei proclami, qual è il ruolo della caccia nella battaglia contro la PSA? Una voce chiara su questo punto è quella della dottoressa Martina Besozzi, veterinaria dello studio associato AlpVet, intervistata da Samuele Tofani per Cinghiale che Passione (n° 2 2019).

Afferma che “la caccia ha un senso come misura di prevenzione, ma deve essere gestita in un certo modo (…) perché sia utile a contenere la diffusione della peste suina, ci vuole una caccia che abbia un senso e che sia gestita bene. Detto altrimenti: per quanto mi riguarda, la braccata non è un metodo di gestione del cinghiale, perché poco selettiva e perché spinge i cinghiali a spostarsi in altri territori. Inoltre spesso vengono abbattute le femmine trainanti e ciò porta i cinghiali a disperdersi”.

Su questa asserzione, prendiamoci una pausa di riflessione.

Viviana Bertocchi