Caccia in braccata: la Squadrina di Monticiano

Nel comune senese il cinghiale maremmano non è mai scomparso e la Squadrina di Monticiano ne rappresenta bene la continuità. Una trentina di anni fa ogni battuta di caccia iniziava al suono del corno e ogni abbattimento di cinghiale veniva salutato col grido di “Viva Maria”

La Squadrina di Monticiano

La Squadrina è una delle squadre di caccia al cinghiale di Monticiano, il comune della provincia di Siena di più antica tradizione in fatto di caccia a questo ungulato. È un borgo medievale, posto a guardia dell’antica strada che conduceva in Maremma, con un patrimonio di lussureggianti boschi situati a cavallo tra le valli dei fiumi Merse e Farma. In quest’area il mitico cinghiale maremmano, il Sus scrofa majori per dirla in termini scientifici, non si è mai estinto e la specie può quindi, con pieno titolo, definirsi autoctona. Per il paese la caccia al cinghiale rappresenta perciò da tre secoli un vero e proprio tesoro. Per Fausto Vainigli, da tempo immemorabile animatore della Squadrina di Monticiano, il cinghiale continua a essere una risorsa di primaria importanza, «sebbene la caccia sia stata trasformata dalla tecnologia e soffocata dalla burocrazia», esordisce. Nel dire questo, la memoria ritorna all’area a regolamento specifico, di cui lo stesso Vainigli fu promotore di primissimo piano, costituita dai cacciatori di Monticiano tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, proprio per custodire al meglio questo loro prezioso tesoro. In quegli anni, così come imponeva la tradizione, ricorda con nostalgia Vainigli, ogni battuta di caccia cominciava al suono del corno. Ogni volta che veniva ucciso un cinghiale alla posta, il cacciatore avvertiva tutti innalzando al cielo il tradizionale grido di “Viva Maria”. Alla fine della giornata di caccia, prima di entrare in paese, si effettuava una scarica di fucilate al cielo per annunciare la buona novella e richiamare tutti in piazza. L’ingresso in paese avveniva con i cinghiali portati a spalla appesi ai pali. Infine, al bar, il cacciatore che aveva preso il cinghiale festeggiava il memorabile avvenimento con la “ribotta”, cioè la bevuta offerta agli altri componenti della squadra.

Ogni occasione è buona

Oggi la Squadrina è composta ancora da 60-70 cacciatori, tra i quali però i residenti a Monticiano sono solo circa 10-20 e tutti gli altri vengono da fuori. Vengono da Firenze e Empoli, ma anche da Mantova, Verona, Bologna, Perugia, dalle Marche e dal Sud Italia. La stragrande maggioranza vi caccia come secondo Atc, ma taluni hanno rinunciato addirittura al proprio Atc di residenza. La gran parte di questi cacciatori non residenti è comunque molto legata a Monticiano: vi esercitano fedelmente la propria passione da oltre 20-30 anni. Arrivano a Monticiano il venerdì pomeriggio e se ne ripartono la sera della domenica, ma qualcuno ha affittato una casa e altri ancora l’hanno addirittura acquistata. Insomma, il turismo venatorio dura tre mesi, da novembre a gennaio, e che porta con sé occasioni di lavoro e benessere per tutti gli abitanti, anche per quelli che niente hanno a che fare con la caccia. In certi casi il turismo si prolunga anche in estate, perché alcuni di questi cacciatori amano trascorrere il proprio periodo di ferie immersi in questo ambiente incontaminato. Per Ferragosto va in scena, aggiunge Vainigli, il Vacca Party: una bella grigliata di carne che richiama tantissima gente. Insomma, ogni occasione è buona perché la caccia al cinghiale continui a essere il tesoro di questa terra. I cacciatori che compongono La Squadrina di Monticiano possono essere suddivisi in tre diverse categorie: i postaioli sono quelli con maggiore desiderio e possibilità di sparare al cinghiale; i canai sono coloro che amano soprattutto sentire la canizza e per i quali lo sparo e meno importante; i braccali infine sono quelli che hanno il compito di cercare, per quanto possibile, di impedire ai cinghiali di uscire dall’area della battuta. È gente che non ce la fa a rimanere ferma alle poste o correre dietro ai cani, predilige al contrario camminare e accendere il fuoco. Questi ultimi rappresentano, tra tutti i cacciatori, i veri custodi della socialità, cioè di quella cultura che Vainigli considera l’essenza più autentica della caccia al cinghiale. Oggi come oggi, la Squadrina di Monticiano mette insieme ogni anno, in media, un carniere di circa 200-250 cinghiali e di conseguenza ai cacciatori che la compongono in pianta stabile, più ai giornalieri che di volta in volta si aggregano, è data la possibilità di portare a casa, nell’arco della stagione venatoria, circa 40-50 kg di carne di cinghiale. In altre parole, è come se ogni cacciatore ammazzasse un maiale. E anche questo patrimonio di eccellenti proteine rappresenta, come è facile comprendere, una parte assolutamente significativa del tesoro.

© E. Alisa

Incombenze e prospettive

Ma quale potrà essere il futuro di tutto questo autentico ben di Dio? E qui le previsioni di Vainigli si fanno cupe: «Si arriverà al giorno in cui tutte le squadre, e non solo La Squadrina di Monticiano, si dovranno in qualche modo unire, sempre che ci sia ancora la possibilità di realizzare dei carnieri soddisfacenti, perché nel caso in cui si dovesse, per qualche ragione oggi imprevedibile, ritornare ai carnieri degli anni Sessanta e Settanta si chiuderebbe inevitabilmente bottega». I giovani in paese sono, a prescindere dalla caccia, comunque pochi e ovviamente ancor più rari sono quelli che si dedicano alla caccia. È un’esigua minoranza assai contesa tra le cinque squadre che ancora operano nel comune. Anche i cacciatori che vengono da fuori sono abbastanza attempati, con l’unica eccezione di Verona da cui provengono invece molti giovani. «I più vecchi siamo in ogni caso noi di Monticiano», soggiunge con rammarico Vainigli. Il consiglio della Squadrina è costituito da 12 cacciatori, ma alle riunioni sono presenti al massimo 5 o 6 e, continua Vainigli, «io sono responsabile della squadra da 10 anni consecutivi e non c’è al momento nessuno disponibile a darmi il cambio». Ciò che fa paura non sono certo l’attività venatoria e la gestione che questa impone. «È la burocrazia che spaventa », se ne esce Vainigli. Ci sono molti e gravosi adempimenti da espletare per conto dell’ambito territoriale di caccia. Ogni mattina, prima di iniziare a cacciare, occorre registrare i partecipanti, e purtroppo a complicare le cose ci sono, quasi sempre, i soliti ritardatari; c’è da riscuotere le quote dei giornalieri e versarle all’Atc, compilare e rilasciare le relative ricevute, gestire le marcature numerate rilasciate dall’Atc medesimo e destinate a essere applicate agli orecchi dei cinghiali abbattuti, nonché classificare l’età di questi ultimi suddividendoli in tre categorie di peso: piccoli, medi e grossi. C’è, infine, l’incombenza di controllare che tutti i cacciatori partecipanti indossino disciplinatamente il giubbotto di sicurezza. A tutto ciò si devono aggiungere le responsabilità relative ai rapporti con l’Atc, con le altre squadre del distretto di gestione del cinghiale, nonché la gestione economica della squadra e dei rapporti tra i membri che la compongono. È un vero puzzle che farebbe tremare i polsi a chiunque intenda assumersi, per giunta gratis, tutte queste incombenze. Anche i costi a cui devono far fronte i cacciatori non sono certo da meno, lamenta Vainigli. Ci vogliono 100 euro per l’iscrizione al primo Atc, 150 per il secondo o per i cacciatori in mobilità, cui spetta altresì l’obbligo di versare 10 euro per ciascuna giornata di caccia. E a tutto ciò deve aggiungersi l’obbligo per la squadra di versare all’Atc 5 euro per ciascun cacciatore iscritto, quale contributo per le spese sostenute dal Atc medesimo per l’indennizzo e la prevenzione dei danni che i cinghiali arrecano alle colture agricole. Danni peraltro assenti in un territorio, quale quello di Monticiano, coperto pressoché totalmente da boschi e come tale a elevatissima vocazione per il cinghiale. Ma ciò che rattrista Vainigli è il fatto che è stata la caccia vera e propria a essere andata incontro ad un cambiamento davvero radicale. Le care vecchie doppiette calibro 12 caricate a palla hanno ceduto il passo alle carabine con gittata e precisione sempre più elevate. Le padelle sono ormai quasi un ricordo del passato, un evento sempre più raro, dal momento che Vainigli stima che oggi si arrivi tranquillamente a centrare con successo circa il 90% dei colpi sparati. L’evoluzione tecnologica è stata davvero ragguardevole: cannocchiali, sistemi di puntamento sempre più raffinati, punti rossi o verdi, l’olografica nel centro del mirino. Insomma: «una volta tarato bene, come lo metti addosso al cinghiale, non rimane che sparare e il gioco è fatto». Senza contare l’impiego delle radio: «senza radio, oggi, non si caccia». I cani dotati di radiocollari sono di fatto «telecomandati». Poi «alla posta sei sempre perfettamente informato dove sono i cinghiali, da dove arrivano, quanti sono: prima di premere il grilletto sai già tutto». I giubbotti di sicurezza, sebbene anch’essi siano fuori dal solco della storia venatoria passata, sono comunque indispensabili: l’integrità fisica del cacciatore deve essere tutelata in ogni modo, anche a costo di non rispettare la tradizione. Ma mai è venuto meno il grande cuore della Squadrina di Monticiano, sempre pronta a devolvere una parte significativa dei propri fondi a favore di ogni sorta di buona azione, come il sostegno alle popolazioni terremotate, all’attività didattica della scuola elementare, al servizio del 118 e a ogni iniziativa sociale del Comune. «E anche questo è certamente un aspetto non secondario del nostro tesoro», conclude Vainigli.