Setter sotto la lente

La selezione del setter inglese e gli adattamenti a esso imposti: quando sono utili e quando dannosi? Questa la domanda a cui risponde Alessio Allegrucci in virtù della sua esperienza e della sua conoscenza della razza, maturata sul terreno di caccia e attraverso la condivisione della passione per il setter inglese con lo zio Francesco Allegrucci, raffinato cultore del fermatore inglese. In oltre vent'anni di lavoro, Francesco è arrivato a selezionare una sua linea di sangue e Alessio oggi si definisce un umile prosecutore della sua selezione, fedele al suo pensiero e devoto alla sua idea del setter.

setter e beccacce
Hermes del Sassovivo insieme ad Alessio Allegrucci al termine di una delle tante splendide giornate in cui un vero setter regala forti emozioni

L’amore per questa razza miscelato a una smodata passione per la caccia hanno reso affascinante nella mia mente l’idea di analizzare in modo critico il setter inglese, per arrivare a quelli che possono essere eventuali “nei” della razza e quelli che invece possono essere i “nei” di chi la utilizza.  

Gli adattamenti sono la principale causa che innesca tutto ciò e saranno la base di ogni valutazione che andrò a fare sullo stato attuale della razza, rapportato alla caccia e in particolare a quella alla beccaccia, visto che nei tempi moderni tendiamo sempre più a specializzare l’attività venatoria piuttosto che a mantenerla polivalente come avveniva un tempo.

Senza dubbio il più amato dagli italiani

È indubbio che il setter inglese sia la razza più amata e allevata nel Belpaese, così come è indubbio che nel corso dei secoli, specialmente nel XX, la selezione e tutto ciò che ruota intorno a essa ha imposto sostanziali adattamenti riguardo il suo utilizzo e le sue pe culiarità. Adattamenti che generano l’annoso dilemma su eventuali effetti dannosi, innescando le classiche domande: è migliore il setter attuale con gli adattamenti imposti o è altrettanto buono quello del secolo scorso? Sono maggiori i “nei” della razza o quelli di chi si approccia ad essa? È possibile migliorare e rendere efficienti le qualità di un setter da caccia? Esiste un modo corretto per gestire un setter nel bosco? Prima di rispondere, vorrei fare una breve premessa sui caratteri principali di questo straordinario ausiliare, che hanno contribuito a portarlo ai massimi livelli nell’utilizzo venatorio e l’hanno reso celebre. Tra tutti i cani da caccia è difficile trovarne uno più utile, bello, resistente e con maggior olfatto del setter. La sua psiche, la capacità di adattarsi ai terreni, alle temperature, a diverse specie di selvaggina, le sue eccellenti doti di recupero, il suo olfatto fine, la sua intelligenza, il suo temperamento forte come la sua passione, la sua generosità e il metodo di cerca la rendono una razza unica dal punto di vista venatorio. E il suo carattere dolce fa sì che si innamori del suo padrone e che si integri perfettamente nella sua famiglia. Tutto questo è il frutto di una selezione oculata, condotta attraverso i secoli, che ha trasformato il setter nel cane da ferma per eccellenza, ponendo sempre l’olfatto, dote naturale, come punto di riferimento al quale la velocità si deve umilmente sottomettere.

ferma
La ferma è uno dei momenti più emozionanti dell’azione di un setter inglese. Preceduta dalla presa di punto e dalla guidata ove il selvatico tenda a sottrarsi, è parte importante delle qualità naturali e dello stile di un soggetto. In un alcuni casi di selezione accurata, può diventare anche caratterizzante in una particolare genealogia. Nella foto Noir in una sua tipica ferma, trasmessa a molti suoi figli insieme a una spiccata predisposizione per le beccacce

Per rispondere ai quesiti sopra posti, vorrei partire dai famosi setter Laverack, frutto della passione di quello che è ritenuto il padre moderno del setter inglese, Sir Edward Laverack. Morfologicamente differenti dall’attuale, questi cani erano selezionati e testati esclusivamente nella caccia (grouse, pernici, fagiani e beccacce) e i migliori soggetti erano quelli che venivano presentati poi nei field trial primaverili. La caccia era il riferimento e tutti gli aggiustamenti necessari o imposti prendevano esclusivamente corpo da valutazioni fatte praticando questa disciplina. Questo ha salvaguardato per almeno due secoli una selezione che si faceva sempre più incisiva e mirata a migliorare l’attitudine all’esercizio venatorio. Ed è proprio nel corso di questa selezione che il setter è stato affinato per adattarlo al meglio, fino a diventare la razza più utilizzata, soprattutto in Italia, su alcune specie di selvaggina che, nel corso del secolo scorso, erano per lo più cacciate con ausiliari che presentavano caratteristiche profondamente diverse rispetto al setter stesso. Ovviamente tra queste rientra per eccellenza la beccaccia.

La specializzazione sulla beccaccia

Seppur già ai tempi di Laverack le beccacce erano cacciate con il setter, è soprattutto in Italia che è avvenuta una specializzazione quasi ossessiva su questa tipologia di caccia, portando la nostra amata razza a confrontarsi su una varietà di terreni che vanno dalle faggete, alle pinete, ai boschi delle colline pre-appenniniche, passando per le vallate composte da rovi e corsi d’acqua fino alla macchia mediterranea, a tratti anche impenetrabile. Tutti ambienti con i quali l’inglese ha dovuto familiarizzare visto che il setter, come il pointer, è una razza che ama gli spazi aperti, le pianure, le brughiere, la montagna e soprattutto ha una particolare attitudine a lavorare sul vento con la sua tipica velocità. Tutto questo nel bosco è spesso impossibile sia per la conformazione del terreno che per il comportamento delle beccacce, che risulta profondamente diverso da quello delle starne, selvatico per eccellenza sul quale da sempre è stata operata la selezione. In questi adattamenti è stato salvato grazie all’olfatto potente e all’intelligenza che lo hanno reso efficace pur dovendo rinunciare ad alcune delle sue peculiarità, tra cui la velocità ed alcune caratteristiche del trialer tipiche delle prove. Ma con la minuziosa opera dell’uomo, accoppiando i soggetti migliori in questa forma di caccia, si è arrivati ai giorni nostri in cui alcuni setter, con spirito trialer, ma fedeli all’olfatto e all’intelligenza, riescono il più delle volte a fare la differenza nel bosco, compensando la diminuzione di selvaggina e l’inasprimento di alcuni habitat naturali.

agguato
Volgarmente viene definito “l’agguato”. Più comunemente è quella tipica ferma a terra utilizzata da alcuni setter per trattenere a terra una beccaccia in particolari ambienti
consenso
Il consenso. È una delle principali qualità naturali nel setter inglese. Fondamentale in ogni ambiente e circostanza, sia essa la caccia che un campo di gara, ha un’importanza primaria nel bosco, ove l’equilibrio e l’affiatamento tra due soggetti è essenziale nel gioco delle parti con una beccaccia. Nella foto Hermes del Sassovivo e il figlio Vampir su una beccaccia in faggeta
riporto
Il riporto. È un’altra delle qualità principali che rendono il setter inglese una razza completa nell’approccio all’attività venatoria. Insieme al recupero, è una dote molto apprezzata dal cacciatore, soprattutto in ambienti chiusi ove la visibilità è scarsa. Nella foto Hermes del Sassovivo esegue un riporto perfetto dopo aver recuperato una beccaccia

Mentalità e collegamento

Oggi molti degli adattamenti operati sul setter a beccacce si concentrano sull’annosa questione della mentalità e del collegamento. Tanto che gli interventi, spesso dannosi, tendono a limitarne l’eccessiva passione e quindi l’iniziativa a vantaggio di una cerca più ristretta e di conseguenza più gestita dal cacciatore. Dal mio punto di vista prediligo quel soggetto che sa osare e non strafare, mantenendo il giusto collegamento con il conduttore e che sa rispondere sin da giovane a quei pochi e semplici comandi utili a gettare le basi di un profondo e a tratti morboso feeling venatorio.

Tornando ai quesiti elencati, il primo poneva il problema se è migliore o no il setter attuale e in merito a ciò posso affermare che, mentre affinarlo sulle beccacce ha avuto e ha tuttora i suoi risvolti positivi, sia per la razza che per il cacciatore (perché per questo lavoro ci si basa sull’attività venatoria), altri adattamenti lo hanno snaturato, ponendo in secondo piano quelle che invece devono essere le doti principali dello stesso ovvero le qualità naturali e l’attitudine venatoria, dove la generosità, l’ardore e la passione non sono la velocità esasperata tipica di alcuni trialer, ma sono quel qualcosa che lo spinge a un galoppo spigliato e veloce, ma sempre efficace e teso a coprire più terreno per reperire più selvaggina rimanendo fedele all’olfatto, che è la dote primaria e naturale di ogni soggetto.

galoppo
Il galoppo. È la massima qualità esteriore per identificare un setter inglese. Morbido, radente, spigliato, veloce, mai irruento e di ritmo. La psiche è una delle componenti fondamentali per un galoppo eccellente. Nella foto Lindo del Sassovivo, progenitore dei setter che l’autore utilizza nel bosco

Mentre il cinofilo via via ha trasformato quel galoppo spigliato e veloce in ritmo teso a sublimare i suoi occhi con aperture rapide e profonde coronate da arresti mozzafiato, snaturando il concetto di velocità, che così risulta difficilmente applicabile a certi terreni o alla presenza consistente di selvaggina. Ragion per cui non ritengo il setter attuale migliore nel complesso rispetto a quello del secolo scorso. La moda sfrenata di ricercare il trialer e il soggetto di ritmo (appellativo assai blasfemo se riferito al setter) per contrapporlo sui terreni dei field trial al cugino pointer, hanno portato a una spettacolarizzazione delle prove, ove la prestazione conta e gratifica più del lavoro stesso, snaturando la psiche del setter e portandolo più a confrontarsi sul terreno dell’audacia piuttosto che su quello della prudenza. E così ci siamo ritrovati, attraverso incroci e sperimentazioni varie, un setter moderno assai diverso da quello che lo standard definisce e che molti cacciatori e cinofili d’altri tempi hanno amato e preservato. Mentre la cerca ampia e la velocità avevano il senso di coprire più terreno e risparmiare fatica al cacciatore, oggi sono state rivolte essenzialmente a spettacolarizzare l’azione. Per questo ritengo certi adattamenti la principale fonte che ha alimentato alcuni “nei” della razza, con i quali oggi molti cacciatori devono fare i conti ogni qualvolta si avvicinano a famosi soggetti provenienti dalle prove. Fortuna ha voluto che sapienti allevatori e qualche “illuminato” cacciatore con spirito cinofilo abbiano saputo salvaguardare certe peculiarità, che riescono a imporsi ogni volta che una femmina, eccelsa cacciatrice, convola a nozze con il trialer del momento. E lì lo spirito “cacciatore” impresso nella psiche riesce a imporsi rispetto a tutto ciò che di costruito e “non naturale” risiede in certi affermati campioni. È errato pensare che un setter sia solo galoppo radente e spigliato, coda ingessata, aperture infinite ai lati, ritmo, rispetto del percorso, ferma e consenso spesso eseguiti a comando o d’impeto. Il setter è galoppo morbido e fluido che lo fa scivolare (e non galoppare con ritmo) sul terreno tirato dal naso intento a scovare effluvi, è soprattutto accertamento, è psiche che si fonde con il suo animus venandi, è astuzia e intelligenza nell’adattarsi alla selvaggina e al terreno, è esperienza nel trattare il selvatico, è mestiere nel cercare di non perdere il contatto con l’emanazione; spesso è tutto ciò che in un campo di prove viene ritenuto superfluo e poco estetico all’occhio di chi giudica il ritmo di un galoppo più che la psiche di un soggetto. Il Setter deve essere attaccato al naso senza eccessi, ma non deve essere mai indotto alla ferma o forzato a non accertare. Tutto ciò che è stato fatto nel corso degli ultimi anni ha portato alcune linee di sangue a discostarsi troppo dallo scopo principale per cui la razza è stata selezionata. La caccia, a mio avviso, deve e dovrà rimanere il punto di riferimento attraverso il quale operare la selezione e cercare gli adattamenti utili a essa, al fine di avere un soggetto sempre più performante e che sappia rispondere alle esigenze del cacciatore. Spesso invece una selezione operata più sullo spirito trialer (che rimane sempre e solo il miglior cacciatore fra i migliori) e sul ritmo sostenuto da mantenere in un turno di prova hanno portato a mettere in secondo piano le doti naturali che altro non sono che le qualità insite che un soggetto deve mostrare nell’approccio all’attività venatoria. Questa spettacolarizzazione del setter ha indotto molti cacciatori ad accoppiare i propri soggetti con il campione del momento, azione che ha portato nel giro di una o due generazioni a cacciare con soggetti difficili da gestire e spesso impossibili da adattare all’attività venatoria stessa, innescando la necessità dell’intervento utile a correggere alcuni difetti o spesso a dover piegare il soggetto a specifiche esigenze. E qui lascio a voi immaginare le difficoltà. È altresì vero che spesso accade anche il contrario, cioè che il soggetto ottimo cacciatore, spesso anche figlio del campione del momento, sia vittima di eccessivi interventi o adattamenti imposti da cacciatori poco avvezzi a interpretare un setter e molto più abili a premere un grilletto per finalizzare un’azione.

setter e coturnice
Gli spazi aperti come la montagna sono l’ambiente ideale per manifestare in pieno lo spirito trialer di un soggetto; e le coturnici selvatici autentici sui quali il setter esprime il massimo delle sue qualità. Nella foto una giovane Noirè insieme ad Alessio Allegrucci, a coronamento di una splendida azione su un vecchio maschio di coturnice

Tutti sappiamo che la caccia con il cane da ferma deve essere un insieme di abilità che non si esauriscono alla sola bravura nello sparare, ma trovano la loro espressione massima nella complicità che si crea tra cacciatore e cane, insieme alla capacità di interpretare la razza e correggere piccoli nei del soggetto, adattandolo poco alla volta al nostro modo di cacciare senza snaturare la sua psiche e le sue peculiarità. Per questo risulterà molto utile approfondire, al pari di quanto fatto ora per alcuni nei della razza, che sostanzialmente derivano da una non corretta selezione venatoria, quelli che sono invece i “nei” del cacciatore, che spesso inconsapevolmente interviene su alcuni soggetti esaltando piccoli difetti o addirittura rovinando alcune qualità che potrebbero fare del soggetto stesso un grande specialista. Motivo per il quale sarà interessante sviscerare gli altri quesiti posti all’inizio di queste righe nei prossimi numeri di questa rivista, attraverso un’attenta analisi di come il conduttore approccia al setter inglese, incidendo sul buon esito di un soggetto e di riflesso sulla razza.