Paolo Sparvoli, presidente nazionale della Libera Caccia, contesta la decisione del Partito democratico, che in commissione Politiche europee non ha votato il documento sul declassamento dello stato di protezione del lupo.
È una posizione «assurda», forse «motivata dalla paura di perdere una manciata di voti animalisti in favore dei più estremisti Movimento 5 Stelle e Verdi-Sinistra»: con queste parole Paolo Sparvoli, presidente nazionale della Libera Caccia, contesta la decisione del Partito democratico, che in commissione Politiche europee ha deciso di non votare il documento con cui l’Italia s’è detta favorevole al declassamento dello stato di protezione del lupo, da strettamente protetto a (soltanto) protetto.
A dir la verità del voto contrario Piero De Luca, che nel corso della discussione ha espresso la posizione del Pd, ha dato una motivazione tecnica: la commissione, ha detto, avrebbe dovuto soltanto verificare se la proposta fosse conforme al principio di sussidiarietà, senza entrare nel merito del contenuto; e con le istituzioni europee avrebbe dovuto instaurare un dialogo politico.
Per Sparvoli però tanto è sufficiente perché si possa dire che il Partito democratico («valoroso») ha «ancora una volta buttato la maschera»; e «dopo aver galleggiato e traccheggiato per anni ha mostrato un aspetto animalista che appare non solo antiscientifico ma anche politicamente incomprensibile»; il voto contrario descrive infatti «indifferenza nei confronti degli allevatori e della popolazione che abita in campagna, nei piccoli centri rurali e nelle periferie degradate».
Sparvoli ricorda che dietro la decisione d’abbassare lo stato di protezione del lupo c’è una valutazione scientifica del Comitato della Convenzione di Berna («non di un’organizzazione europea di cacciatori»); che sul proprio territorio solo l’Italia «annovera oltre 5.000 lupi»; e che nessuno si sogna né invoca l’apertura della caccia.
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