Che fine fa il decreto sul cinghiale?

Che fine fa il decreto sul cinghiale: Mario Draghi si dimette
© Alexandros Michailidis / shutterstock

È molto difficile che il governo Draghi, o quello che lo sostituirà da ora alle elezioni anticipate, riesca ad approvare il decreto sul cinghiale.

Il decreto sul cinghiale rischia di essere una delle vittime collaterali della crisi di governo e della fine anticipata della legislatura; dopo che ieri i senatori di Movimento 5 Stelle, Lega e Forza Italia non hanno votato la fiducia che aveva posto sulla risoluzione Casini («Il Senato, udite le comunicazioni del presidente del consiglio dei ministri, le approva»), concluso l’intervento alla Camera Mario Draghi presenterà le proprie dimissioni a Mattarella che da prassi inviterà il governo a restare in carica per gestire gli affari correnti e l’ordinaria amministrazione.

Approvazione complicatissima

Di per sé il governo non perde il potere di emanare decreti legge, provvedimenti eccezionali con cui s’intendono affrontare situazioni di necessità e urgenza; ma un decreto legge dev’essere convertito dalle Camere entro sessanta giorni. Ed è vero che anche se sciolte le Camere devono essere riconvocate per votarlo; ma non ci vuole particolare ingegno per capire che nel pieno della campagna elettorale le forze politiche faticherebbero, eufemismo, ad approvarlo ordinatamente (c’è un gruppo parlamentare che ha una voglia matta di attaccare «la lobby dei cacciatori»); né esisterebbe più l’arma della fiducia per far decadere gli emendamenti, a questo punto inevitabili. L’esito sarebbe lo stesso anche se il Paese fosse portato alle elezioni da un governo diverso (data la stagione, nella Prima Repubblica gli sarebbe stata incollata un’etichetta precisa) senza maggioranza.

E quindi nel migliore dei casi se ne riparlerà nella prossima legislatura, la diciannovesima, dopo che sarà entrato in carica il nuovo governo. Ed è un peccato: perché è vero che per ampliare la stagione della braccata (almeno parzialmente; per anticiparla a settembre no) c’è un po’ di tempo; ma il decreto avrebbe dovuto anche autorizzare le Regioni a pianificare il prelievo nelle aree protette e consentire l’impiego dei cacciatori, perlomeno di quelli abilitati, nelle operazioni di controllo faunistico. E per questo ogni giorno di ritardo rischia di aggravare il carico dei problemi.

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