Cani da ferma: setter gordon, il nero che piace

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Il setter gordon, quell’inglese meno inglese, quel frangiato un po’ più austero raccontato da chi lo ama e lo utilizza, senza timore di confronti.

Il setter gordon è stato sovente definito come il più continentale degli inglesi. Questa definizione non è un’eresia e potrei fermarmi qui, chiudere l’articolo e lasciarvi da soli a immaginare un cane un po’ meno veloce e un po’ più corto del cugino puntinato.

In campo se ne vedono pochi, ma i cacciatori che lo hanno accanto sono tutti soddisfatti. Il fatto che siano pochi, ma molto apprezzati, lo potremmo giustificare immaginando una selezione su piccola scala, molto mirata, ma nella riuscita del gordon è molto importante anche il fattore umano. Per ciò che ho potuto vedere finora infatti, chi sceglie questa razza lo fa con cognizione di causa, consapevole dei pregi e dei difetti del compagno prescelto. Un’ottima base per una collaborazione proficua e duratura.

Non facciamo paragoni

Per godersi un setter gordon innanzitutto bisogna evitare di paragonarlo all’inglese. In poche parole, lo potremmo descrivere come un cane da ferma robusto, serio e affidabile; è un cane di sostanza, più che di spettacolo.

Ho accompagnato a caccia qualche gordon bravo: nessuno di loro era corto, né tantomeno lento, l’impressione che davano era quella di un ausiliare sicuro e di collaborativo. Tempo fa ne ho visto anche qualcuno correre nelle prove Enci, ma me ne è rimasto solo un vago ricordo: la stoffa del gordon, del resto, è quella del cacciatore più che quella del garista.

I setter gordon oltre Manica

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Clitters Ailla durante i censimenti di marzo

Anni dopo ho visto altri gordon gareggiare, ma questa volta erano le prove inglesi, a grouse e a starne. In Inghilterra e in Scozia il numero di gordon iscritto ai field trial è inferiore a quello dei pointer e degli irlandesi, ma generalmente superiore a quello dei setter inglesi.

I setter gordon che ho visto sganciare lassù li posso dividere in due gruppi. Il primo gruppo è composto da cani di selezione “da bellezza” che però vengono presentati in prova e spesso impiegati nei censimenti alle grouse. Sono cani molto robusti e, in tutta franchezza, non sono il mio tipo di cane, tuttavia, pur raggiungendo raramente punte di eccellenza, sanno fare il compitino e vengono gestiti con facilità dai proprietari. In un contesto di abbondanza di selvaggina, o di caccia in riserva, vanno benissimo: non buttano via il selvatico, non vanno fuori mano e sono spesso efficaci in situazioni difficili.

Ricordo una prova grouse corsa a Dorback, nelle Highlands scozzesi, in condizioni di vento scarso e mutevole, con cani spesso costretti a lavorare in pendenza e con il vento alle spalle. Bene, quei gordon poco brillanti, ma molto attenti, furono praticamente gli unici cani a chiudere la giornata senza errori e a ottenere una qualifica. Per i restanti concorrenti, più briosi, al contrario fu un’ecatombe fatta di sfrulli.

Il secondo gruppo di gordon è quello dei cani di selezione “da lavoro” che, purtroppo, sono in numero ridotto (anche alle prove) rispetto a quelli selezionati per gli show.  A livello morfologico si vede un po’ di tutto: ci sono cani piuttosto tipici o per lo meno robusti, e cani leggerini e veloci.

Pragmatismo inglese

Ogni volta che ho sollevato la questione con gli appassionati, costoro hanno generalmente fatto spallucce: gli inglesi sono pragmatici e vogliono essenzialmente un cane che funzioni. Il cane tipico e in stazza pertanto esiste ed è sicuramente apprezzato, ma mantenere unite tipicità e funzione non è per loro prioritario. Questi stessi gordonisti però, se intervistati in merito alla questione “cani da show che partecipano alle prove” rispondono che i “bellezzari” dovrebbero osare un po’ di più e incrociare i loro cani con soggetti da lavoro; i risultati potrebbero essere eccellenti. Non posso che concordare.

Qualche setter gordon da lavoro bello e tipico l’ho visto e apprezzato. Sono cani sicuri in campo, molto concreti e preziosi in situazioni climatiche difficili. Piacerebbero anche ai gordonisti nostrani.

Tra i chiari e gli scuri: Mauro Abruzzese racconta

Mauro Abruzzese è medico veterinario e cacciatore gordonista. Il racconto della sua esperienza sicuramente è emblematico per comprendere quanto un setter gordon può lasciare il segno nella vita di cacciatore cinofilo.

«Il gordon è sicuramente diverso dagli altri setter, ma non solo, anche dagli altri cani da ferma. Descrivere questa razza senza incappare in luoghi comuni non è facile. Anche analizzare la situazione attuale del gordon senza cadere nello scontato è molto arduo. Quindi preferisco limitarmi a riportare le mie esperienze e le mie personalissime considerazioni.

«La mia prima avventura con il nero focato risale a 25 anni fa, grazie un soggetto importato dalla Romania dopo diversi contatti con un collega veterinario del posto. Questo cane mi ha dato molte soddisfazioni sul terreno: cacciavamo nei risi lombardi e piemontesi, e la sua andatura dava spesso filo da torcere agli inglesi degli amici che mi accompagnavano.

«Era una brava cagna e in tanti mi chiedevano i suoi cuccioli, ma io volevo fare le cose per bene. Quella setter gordon aveva una struttura leggera e, di conseguenza, il galoppo non era quello tipico della razza: avevo già in mente un mio gordon ideale che doveva essere molto tipico, sotto tutti gli aspetti. Mi limitai così a ritenerla una brava cagna da caccia ed evitai di farla diventare una fattrice.

Una nuova motivazione

«Visto che le mie ricerche di gordon tipici e con attitudini venatorie non avevano dato buon esito, passai agli inglesi, diciamo più per caso che per una motivazione vera e propria. Ho avuto inglesi tipici e bravi, e altri meno tipici e meno bravi. Con il tempo mi sono reso conto che la dissonanza tra bello e bravo è una situazione comune in quasi tutte le razze da ferma e questo mi ha ridato la motivazione a cercare il “mio” gordon.

«Dopo tanti anni sono andato in Scozia e ho acquistato una femmina, nella speranza che crescendo manifestasse quella tipicità morfologica che avevo sempre sognato. Avevo studiato il suo pedigree e pur consapevole che le ultime due generazioni alle spalle non avevano mai lavorato, avevo deciso di sfidare la sorte; del resto più indietro in genealogia c’erano soggetti da lavoro. Fosca (Kelsnnor Shoot to Thrill) è diventata proprio una bella cagna, è il gordon fatto come l’ho sempre immaginato e anche in campo non è male.

Nuove generazioni

«Ed eccoci arrivati al presente. Tendendo sempre all’ideale, lo scorso anno ho deciso di accoppiare Fosca con un gordon campione di lavoro, ma molto tipico morfologicamente. Una volta nati i cuccioli, ne ho tenuti ben quattro per me; due maschi e due femmine sono rimasti qui perché potessi valutare il risultato del mio progetto.

«Caccio principalmente beccacce nel Bergamasco e in Croazia e, ora come ora, ho a disposizione sette cani: due setter inglesi e cinque gordon, ossia Fosca e i suoi figli. Il mio ambiente di caccia è il bosco e proprio qui ho visto forti e chiare le differenze tra i “bianchi” e i “neri”. Gli inglesi vanno lunghi e io, loro e il selvatico ci capiamo attraverso il Gps. Guardo il palmare e capisco che cosa succede. Stessa cosa se mi avventuro nei risi o se mi capita di allenare in Zona Alpi: il cane e il beccaccino sono tre risaie più in là oppure quel puntino che si muove a centinaia di metri (anche di dislivello) potrebbe incappare in un volo di cotorne troppo in anticipo rispetto a me.

«Il gordon, invece, è naturalmente più corto e più collegato, si lascia guardare durante il lavoro e non ci sono misteri: vedo come si muove, come si approccia al selvatico, come realizza il punto, vedo anche eventuali errori. La sua cerca è più ristretta e più dettagliata, ma non per questo meno redditizia. Credetemi, caccio in Atc dove ciascuno di noi gioca un po’ a rincorrere e a “fregare” l’altro, ma il mio carniere non ne ha mai risentito.

Pregi e difetti

«Altri pregi, altri difetti? Secondo la mia esperienza il gordon è più sensibile dell’inglese, serve più pazienza e più dolcezza. Poi i gordon soffrono il caldo e la carenza di acqua ma, soprattutto, la razza è caduta in quella dicotomia di cui ho già parlato. Vuoi il gordon tipico? Lo trovi più facilmente ipertipico, un elefantino con delle frange da afgano che difficilmente saprà correre e cacciare. Vuoi il cane bravo? Non sarà tipico, galopperà scattante e veloce, tanto è piccino e leggero.

«Questa è la situazione nella maggior parte dei casi. Soluzioni? Non ne ho, se non la speranza che spuntino nuovi appassionati disposti a fare un passo avanti e uno indietro per valorizzare la razza rinsaldandone il legame con il mondo venatorio».

Cime tempestose: Nicola Harris e i suoi Clitters

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Clitters Teca, un soggetto tipico e valido sul terreno

Dopo la testimonianza un gordonista italiano, volgiamo lo sguardo oltre Manica per conoscere l’esperienza di Nicola Harris, allevatrice, conduttrice e giudice.

«Negli anni Novanta Brenda Partidge, grande amica di Joyce Dammerel (che ha lasciato a mio padre Terry Harris l’affisso Sparkfield), affidò a mio padre la setter gordon Clitters Dart perché la conducesse alle prove. Il nostro canile era pieno di pointer e, in mezzo a loro, questa nera focata spiccava: aveva catturato la mia attenzione e avevo capito che quello era il cane per me. Quando nacque la cucciolata di Dart feci un contratto con mio padre: lui mi avrebbe insegnato ad addestrare e io avrei addestrato una delle cucciole. Onestamente non so dire se sia stato più facile addestrare me o il cane, ma la cucciola prescelta, di nome Swift, fu il primo cane che condussi in prova.

«L’incontro con la razza fu un punto di non ritorno. Credo che Swift sia stata uno dei miei migliori cani, io ero giovane e inesperta e non riuscivo a rendermene conto, pensavo che tutti i cani fossero così. Quanta ingenuità! Quando aveva solo 15 mesi, e io avevo solo 15 anni, vincemmo il Gordon Setter Breed Stake (la speciale di razza), prova che avremmo poi vinto anche una seconda volta. Swift ottenne molte altre qualifiche in prova e arrivò per tre volte seconda.

«Purtroppo questi risultati non furono sufficienti per farla proclamare FT Ch (campione di lavoro), ma per me ne aveva tutte le doti. Aveva andatura, stile, voglia di collaborare con me. Ancora oggi cerco sempre queste caratteristiche nei mei cani. Eravamo una squadra affiatata, io credevo in lei e lei credeva in me, era la mia migliore amica.

Un’importante eredità

«La ma linea di gordon è nata con Swift. Qualche tempo dopo Brenda Partridge mi ha lasciato in eredità l’affisso Clitters e io cerco di portare avanti questo nome dandogli il prestigio che merita.

«Attualmente ho un buon gruppo di gordon e il 2019 è stato uno dei miei anni migliori grazie a Clitters Teca e Clitters Ailla.  In tanti mi chiedono perché continuo con i gordon: è semplice, a me piacciono! Ritengo che la loro capacità di scovare selvaggina sia unica e che sappiano lavorare in qualsiasi condizione di vento.

«Sono cani di fondo, che non temono il freddo: io vivo nel nord dell’Inghilterra e i miei cani lavorano attorno a casa e in Scozia. Forse il meglio lo danno proprio in condizioni meteo critiche, quando continuano a lavorare con passione nonostante le avversità. Poi vogliamo parlare delle prese di punto? La presa di punto del gordon, il suo approccio alla selvaggina, la ferma continuano a incantarmi. Non dimentichiamoci poi del carattere: sono cani simpatici, piacevolissimi compagni di vita.

«I cani per me sono una passione, ma non una professione. Ho un lavoro a tempo pieno, ma dedico a loro tutto il mio tempo libero: li alleno, li addestro, li utilizzo per i censimenti alle grouse e li presento alle prove di lavoro. Faccio coincidere le mie ferie con le date delle prove di lavoro di marzo, luglio e agosto.

Dai censimenti alla caccia

«Collaboro per i censimenti con diverse riserve del nord dell’Inghilterra: è un lavoro importante grazie al quale i guardiacaccia riescono a stimare, in primavera, il numero delle coppie di grouse in riproduzione su una data parcella di terreno. Con l’arrivo dell’estate, ricontrolliamo la stessa parcella di terreno per conteggiare il numero delle covate. Grazie al nostro lavoro i gestori delle riserve pianificano la stagione di caccia decidendo quanti animali possono essere abbattuti, così da mantenere costante un adeguato numero di riproduttori. Il futuro si programma attraverso i censimenti.

«E terminati i censimenti inizia la stagione di caccia e mi viene data l’opportunità di accompagnare, con i miei cani, i cacciatori che vengono in riserva. Lo considero un privilegio e un onore: i miei cani possono svolgere il lavoro per il quale la razza è stata selezionata. Grazie a questo posso anche far conoscere e far apprezzare la razza ai clienti e ai guardiacaccia. Mi ritengo davvero fortunata, non tutti hanno la possibilità di lavorare i loro cani sui moor.

«Ma non è solo questo a fare di me una persona fortunata: ho il supporto di molti altri appassionati di cani da ferma e quello di tutta la mia famiglia che mi ha permesso di arrivare fino a qui. Sono molto grata per tutto quello che i miei familiari hanno fatto per me. 

«Ah, dimenticavo, per finire con un una nota di leggerezza: non mi ricordo più di aver fatto una vacanza normale, in vacanza adesso si lavora con i setter sui moor, ma non cambierei questo per nulla al mondo».

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