Cani da ferma: che cosa è il trialer

trialer

Che cosa è il trialer? E che cosa dovrebbe essere un supercane da ferma? Dalla teoria alla pratica, si passa dall’identikit del magnificato trialer a quello del supercane da caccia.

Un buon numero di cinofili italiani è convinto che la parola trialer sia stata coniata da Giulio Colombo. Ma ci sono alcune evidenze che sia una convinzione sbagliata. A suo tempo, ci aveva già pensato Alberto Chelini a puntualizzare che il primo fu Angelo Vecchio a utilizzare il termine in oggetto. Questo chiamò più volte i partecipanti alle prove di lavoro “field-trialler” o “field-trialles”, con due L (“eRori di stOmpa” permettendo). E ciò avvenne in epoca sicuramente precedente a Colombo perché il libro del Vecchio, “Il cane in azione – le prove sul terreno”, risale al 1899. La cinofilia ufficiale, avallando le argomentazioni di Chelini favorevoli al Vecchio, ha spesso adottato il termine trialler, raddoppiando la L, e ha sbagliato. Vediamo perché.

Errore di stampa, errore di concetto

La traduzione di Valfredo Baldi in lingua italiana del libro di Arkwright, insieme a tante inesattezze di traduzione e di proto, riporta il termine trialer usando il corsivo a pagina 129 della settima edizione dell’editoriale Olimpia. Chelini aveva avuto buoni motivi per dubitare che la traduzione fosse corretta, sospettando errori di tipografia. Ma in questo caso (è successo di rado, ma è capitato anche a lui) è inciampato perché nel testo originale di Arkwright, “The pointer and his predecessors”, a pagina 84 viene riportato per la prima e unica volta nel testo, virgolettato, proprio il vocabolo trialer, con una L, per definire il partecipante alle prove di lavoro – prove sul campo -, che si chiamano per l’appunto field trial.

La minuziosa e tediosa precisazione è giustificata dal valore che da noi è stato dato a questo termine scialbo, scontato e pedestremente descrittivo di un’azione compiuta dal cane: partecipare a una gara sportiva. La parola trialer definisce, infatti, semplicemente questo atto. Esemplificando: chi legge è un lettore (to read – reader), chi scrive è scrittore (to write – writer) e così via, quindi chi “field trialeggia” è un trialer. Ai tempi di Arkwright dunque, i garisti erano tutti trialer e anche oggi, nei Paesi anglosassoni, si noma così il partecipante ai field. Questo taglia la testa a ogni altro tipo di discussione.

Iperbole cinofila

E come è potuto succedere che questo termine sia stato assurto a titolo di prestigio diventando paradigma di fuoriclasse? Lo dobbiamo alla penna di Giulio Colombo che, volendo esaltare – e chissà mai perché – il percorsista esagerato, lo ha voluto dipingere e incorniciare in un’immagine che esisteva solo nella sua fantasia infiammata. Ha voluto idealizzare una sorta di supercane che probabilmente avrebbe avuto una realizzazione compiuta solo nei film di animazione in 3D.

La realtà è un’altra cosa

E non voglio ripetere nulla che già non sia stato detto meglio e da tempo da Chelini (per imparare qualcosa dentro le quattro mura dovete leggere lui. Il resto lo si impara col guinzaglio in tasca e il fucile in mano, in campagna). Però qualcosa da dire sul mitizzato trialer ci sarebbe.

Colombo ha spesso voluto stupire e catturare l’attenzione di chi lo leggeva, utilizzando iperboli e frasi a effetto, a volte totalmente banali, spesso contraddittorie, ma che sono diventate slogan per pappagalli acritici e stolidi. Un esempio: dove non c’è pelo non c’è setter! Ma va? Davvero? Poteva anche dire che dove non c’è penna non c’è uccello…

Chissà, forse è per questo che in esposizione talvolta si vedono premiare setter con un pelo così lungo e di tessitura tanto fine che, se dovessero frequentare la campagna così agghindati, rimarrebbero annodati al primo cespuglio che incontrano, sempre che non lo schivino accuratamente, cosa invece molto più probabile.

Che cosa dovrebbe essere il magnificato trialer?

E il magnificato trialer invece, che cosa dovrebbe essere per Colombo? Il supercane da ferma che corre quanto un levriero al cinodromo (eh, la passione, la passione…); che ferma schiantando e sollevando nuvole di polvere e, in mancanza di essa, sassi, zolle di terra, piante divelte; che estende la sua cerca all’infinito perché è lì che il suo istinto gli dice che troverà le starne, sempre sperando che poi il suo padrone trovi lui; che se nel compimento di questa eccitantissima – per lui – attività dovesse centrare qualche branco sul suo cammino, beh, pazienza; che se dovesse tralasciare sul terreno la totalità degli animali cacciabili, ancora pazienza «Signori, è un trialer, suvvia, a lui è concesso! ».

Ci saranno tante altre gare, tante altre occasioni per riuscire a fare il percorso netto e quindi il cartellino e poi un altro (ne bastano solo due in grande cerca) e sei “campione trialler”, con due L perché così vale anche di più. Due cartellini in cinquanta o cento gare non è male, no? Di cani di questa risma laureati campioni ce ne sono a iosa e sono stati pure impiegati in riproduzione dove hanno perpetuato la loro idiozia e non è difficile girare per le campagne e le montagne vedendo cani sbandati che solo con l’utilizzo del satellitare possono essere recuperati e ricondotti alla macchina.

Alla ricerca del supercane

Per me il supercane da ferma è un’altra roba. È una roba che sleghi al mattino all’alba e riallacci al tramonto. Non lo devi cercare o rincorrere perché è lui che cerca te (lui lo sa dove sei). E’ una roba che quando parte, anche per un breve turno di allenamento, inizia prudente come una spia e intensifica azione e velocità man mano che il tempo passa, diventando sempre più velenoso e feroce nella sua ricerca di qualcosa di buono da fermare. E’ una roba che prima di fermare di solito avventa, fila e poi assume posture composte e espressioni di guato inesorabili, cattive. È quindi raro che schianti in ferma anche quando macina terreno a notevole velocità, perché lui corre per cercare, non perché è felice di correre e lo fa anche il giorno dopo e quello seguente ancora.

Il supercane è quello che ti dà la sensazione di non lasciarsi niente indietro perché è passato su tutti i posti buoni e perché sa come e dove si cercano certi animali; e che consente sempre, e ci mancherebbe pure; e riporta sempre, perché vuole abboccare e ritornare da te con quel fagotto che tu hai appena fucilato e non ti pare vero che un miracolo simile si sia realizzato ancora una volta, l’ennesima volta; e che per fare queste cose deve avere fisico da vendere, salute da regalare, dei cromosomi da strenna natalizia e un padrone che se lo sia coltivato come zafferano prezioso fin dalle prime poppate.

Il primo che mi parla di ferme di razza, meccaniche stilose e di cani di qualità lo taccio! Sicut in caelo et in terra.

Tutte le novità sul mondo della caccia sono su Caccia Magazine. Seguici su Facebook, metti mi piace alla pagina di Beccacce che Passione.