Cacciare a palla n.4 Aprile 2019

Editoriale

Bracconiere a chi?

Le cronache degli ultimi mesi hanno portato alla ribalta eventi di segno tra di loro contrario.

Da una parte, in Valcamonica, sono stati denunciati dei cacciatori capannisti che avrebbero sfruttato la tecnologia – nello specifico i vantaggi dell’instant messaging, in parole povere Whatsapp – per facilitare le comunicazioni interpersonali in presenza di condotte che si ipotizzano illecite. Non a caso la chat si sarebbe chiamata “Salviamo il porto d’armi”. Dall’altra un comunicato del WWF ammette che, nelle più recenti attività di controllo inserite nel contesto del Piano nazionale antibracconaggio predisposto dalla conferenza Stato-Regioni, è stato rilevato un importante miglioramento nel rispetto delle distanze di sicurezza a caccia e poi, udite udite, che sono aumentate “le segnalazioni su bracconaggio, in particolare da parte di cacciatori più attenti alle regole, che chiedono di verificare la caccia verso specie protette, uso di richiami elettronici e spari fuori orario”. Qualcuno potrà liberamente derubricare tutto questo a delazione, liberissimo di farlo, ma ritengo si tratti di un passo verso la responsabilizzazione del cacciatore italiano che davvero, finalmente, svolge con compiutezza il proprio ruolo di gestore e conservatore dell’ambiente.

È certamente lecito considerare vessatorie alcune norme presenti nel nostro ordinamento perché magari assenti in altri: parlo dell’istituto del silenzio venatorio e delle distanze di sicurezza, per esempio. Però queste norme ci sono, sono state approvate da un organo legislativo che in qualche modo rappresenta i variegati interessi della comunità nazionale, e vanno rispettate perché “fanno parte del gioco”. E perché la crescita della reputazione del cacciatore, radicato all’interno di una comunità di molteplici interessi, è fondamentale. Tutti quei segnali che dimostrano un mutamento virtuoso nei costumi vanno sostenuti ed elogiati.

Con l’unificazione tra Carabinieri e Corpo Forestale dello Stato, avvenuta da qualche anno e ormai a regime, è stata costituita la Sezione operativa antibracconaggio e reati in danno degli animali (Soarda), dipendente dal Comando Carabinieri per la tutela della biodiversità, che contrasta il bracconaggio, controlla il corretto esercizio della caccia, svolge indagini relative al traffico di fauna selvatica, animali da reddito e d’affezione e opera contro il maltrattamento degli animali sfruttando il network di alte competenze diffuso all’interno dell’Arma, la sua capillare struttura territoriale ed eccellenze quali il Reparto investigazioni scientifiche (Ris). Dovremmo sentire amica questa struttura perché, nel tutelare fauna e ambiente, tutela anche i nostri interessi. Ebbene, sul sito dei Carabinieri (http://www.carabinieri.it/editoria/natura/la-rivista/home/tematiche/ambiente/a-caccia-in-sicurezza) si legge che “il confine tra cacciatore e bracconiere è molto labile. Si tratta spesso di persone che sono in possesso di una licenza di caccia legale, ma, per motivi legati alla passione o anche all’interesse economico, scelgono di abbattere specie protette. Il reato prospera grazie alla domanda di prodotti illegali dei consumatori di pietanze proibite, al giro di affari e di corruzione che ruota intorno alle specie protette”.

Una ricostruzione forse vera in parte ma sicuramente riduttiva e tale da gettare una luce di discredito su tutta la categoria. Da italiano, da cacciatore e da carabiniere in congedo mi piacerebbe che quel passaggio sul sito ufficiale dell’Arma, se non proprio cancellato, fosse almeno spiegato meglio, perché genera confusione e alimenta i pregiudizi un tanto al chilo contro la categoria dei cacciatori che, come dimostrano gli episodi di cronaca che ho commentato, sono un perfetto specchio della nostra società. Sarebbe bello se fossimo gli alfieri di un modello di cittadinanza virtuosa ma, se qualcuno tra di noi non condivide e si comporta in maniera censurabile, sarebbe altrettanto bello che la legittima condanna morale fosse relativa alla condotta individuale e non generalizzata. Da parte nostra, possiamo fare di più per espellere dal nostro interno chi le regole non le segue, a danno di tutti.
Matteo Brogi