Caccia alla beccaccia: a un passo dal tiro

Che un piazzamento corretto sia il preludio per la buona riuscita del tiro è cosa lapalissiana in qualsiasi forma di caccia con il cane, ma in quella alla beccaccia questa fase dell'azione venatoria assume un connotato di particolare rilievo, perché influenzato dall'ambiente tipico in cui la caccia si svolge.

Foto G. Cretti

Voler dare con questo scritto delle indicazioni su come piazzarsi sulla ferma del cane sarebbe cosa da sciocchi. Una quaglia fermata nella stoppia partirà e poi volerà come una qualsiasi… quaglia nella stoppia e dare indicazioni di massima su come posizionarsi sarebbe un gioco da bambini.

Nella caccia alla beccaccia tocca invece fare i conti con mille imprevisti possibili, che ora assumono i connotati di un ginepro che sembra piazzato lì per rubartela alla vista dopo il primo metro di volo, ora di una quercia ancora “in foglia” che poi a ben guardare è solitamente sempre l’unica del circondario, ora ancora tocca fare i conti con l’estro che caratterizza l’indole dello scolopacide.

Sicuramente le esperienze dei cacciatori in merito a questo argomento saranno fortemente influenzate dalle esperienze passate, ma ancor più dalla tipologia di ambiente in cui sono soliti cacciare.
Quando, parlando con amici che cacciano per buona parte della loro stagione a beccacce tra i faggi, dico che i miei tiri avvengono quasi sempre a ridosso del cane in ferma, questi mi sembrano ogni volta sempre più stupiti. Come dargli torto se in montagna la beccaccia trova a terra, tra i faggi appunto, comode “piste” da percorrere per allontanarsi di qualche metro dal cane in ferma subito prima di frullare? Se a ciò si aggiunge che il cacciatore riesce a scorgere da lontano il cane in ferma e quindi vi si tiene a una certa distanza, è chiaro che avrà tutto il tempo di scegliere la posizione che dovrebbe – con il condizionale obbligatorio – assicurare un tiro agevole a una distanza tale a cui la fucilata diventa regolarmente letale, cioè i canonici 15 o 18 metri.

Al contrario, cacciando nella macchia maremmana, ma così come nella macchia mediterranea del Gargano o in quella che caratterizza gli ambienti “bassi” della catena appenninica, si rischia spesso, dopo aver capito più o meno dove si trova il cane in ferma, di ritrovarselo steso a terra davanti alla punta degli scarponi nel tentativo di farsi largo con la schiena china tra la vegetazione. E’ questa la peggiore situazione in cui ci si possa trovare perché, una volta arrivati a ridosso del cane, l’unica cosa da fare è restare immobili e attendere l’evoluzione dell’azione, anche se si è perfettamente consapevoli del fatto che, così messi, la beccaccia sarà difficile persino vederla e nel caso in cui si abbia almeno questa possibilità, la fucilata verrà azzardata molto probabilmente a distanze brevissime, con la conseguente padella in agguato.

frullo beccaccia

Al contrario, tentando quindi di tornare sui propri passi tra spini e arbusti per garantirsi una distanza di tiro più consona a quelli che sono i dettami della balistica e soprattutto del buon senso, si provocherà nove volte su dieci il frullo immediato della beccaccia.

Quando il cane ci aiuta

Conoscere il modo di fermare del proprio cane offre indiscutibili vantaggi anche a beccacce. Quel cane che si trova a ridosso del selvatico e ferma contratto, con la testa tendenzialmente bassa, indica generalmente alla perfezione che ha la beccaccia poco più avanti, così come, al contrario, quello che avventa da lontano e ferma con la testa alta o il cane che, alzando gradualmente la testa – ma forse sarebbe meglio dire il naso -, ci dice che la beccaccia è lontana oppure che sta tentando di allontanarsi di pedina, aiuta a prevedere il punto in cui questa si affiderà alle ali, consentendo quindi di piazzarci nella maniera più conveniente. I cani che buttano il naso al cielo anche con la beccaccia a due passi o quelli che fermano con il tartufo a due centimetri da terra, magari sulla “pista” lasciata dal selvatico che intanto gli ha preso venti metri, mettono quasi sempre il cacciatore in difficoltà; difficoltà che, per ovvie ragioni, risulteranno maggiormente penalizzanti nel fitto rispetto che in ambienti aperti.

bosco aperto
La buona visuale di cui si gode nel bosco aperto spesso aiuta il cacciatore anche quando il piazzamento sul cane in ferma è stato sbagliato

Nei boschi puliti sarà, infatti, l’esperienza che farà ipotizzare al cacciatore il punto in cui l’animale è fermo o dove tenterà l’involo, anche se caccia con uno di questi cani “poco sinceri”. Un ramo secco a terra, un cespuglio basso o un canaletto scavato dall’acqua saranno infatti i punti in cui è lecito credere ferma la beccaccia davanti al cane e a un occhio esperto basta poco a scandagliare il raggio d’azione del naso del cane. Diversamente negli ambienti molto sporchi, ricchi di piante basse e spinose, pur se nella direzione indicata dall’ausiliare, la beccaccia potrebbe essere in un punto qualunque, a cinque così come a quindici metri dopo pochi secondi, grazie alle comode gallerie che trova sotto gli arbusti e in questo caso prevedere l’involo diventa più una questione di fortuna che di bravura.

Ambiente misto
Ambienti misti, ma con vegetazione abbastanza rada permettono di piazzarsi al meglio. In questi posti prevedere dove la beccaccia frullerà non è quasi mai difficile per il beccacciaio

Quando la beccaccia pedina

Tutto ciò che fino a ora abbiamo detto è riferito a quelle beccacce che tengono bene la ferma – e che oggi risultano merce sempre più rara – ed è vero anche che, quando la beccaccia tenta di sottrarsi di piedi al cane in ferma, piazzarsi nella maniera più idonea diventa maggiormente difficoltoso in virtù del fatto che il probabile scenario di tiro varia continuamente.

Con il selvatico che si allontana di pedina le variabili che entrano in gioco possono mettere in difficoltà il cacciatore anche nella monotonia del bosco pulito d’alto fusto, figuriamoci quindi negli ambienti sporchi. Si è infatti costretti a cambiare continuamente il piazzamento a ogni mossa del cane, anticipandolo, fermandosi o seguendolo in base alle sue reazioni.

bosco di aghifoglie
Il piazzamento nel bosco di aghifoglie mette in difficoltà anche i cacciatori navigati e spesso la buona riuscita della fucilata è merito più del caso che dell’intuizione

Quasi superfluo dire ancora una volta che più sincero sarà il comportamento del cane, più facile risulterà mandare a segno la fucilata in seguito al frullo che generalmente si palesa dopo che la beccaccia ha superato un dosso del terreno, si è avvicinata all’orlo di un dirupo, a una strada o al limitare del bosco e in questi casi lasciare il cane in guidata e andarsi a piazzare dove è più prevedibile l’involo ci offre buone possibilità di successo. Al contrario, se cioè la beccaccia la si trova in ambienti omogenei dal punto di vista orografico, non ci resta che seguire alla meglio il cane e incrociare le dita sperando nella buona sorte.

bosco folto
Nei boschi folti della bassa collina sapersi posizionare al meglio è fondamentale, in quanto generalmente la beccaccia si offre alla vista per pochi istanti

Non tutte le beccacce sono uguali

Un episodio di recente memoria.
I cani sono in ferma lungo un tratturo con la testa rivolta verso l’interno del bosco che comincia subito impenetrabile. Uno spinaio si estende per almeno 15 metri verso l’interno del querceto e se la beccaccia decide di frullare dall’altro lato non riuscirò nemmeno a vederla. L’unica soluzione è tentare l’aggiramento silenzioso dei rovi e sperare che la beccaccia frulli verso l’interno del bosco. Una volta piazzato dall’altro lato, scorgo a terra le fatte fresche dello scolopacide e poco dopo i cani che non sono proprio di primo pelo, capiscono che la beccaccia non è più nel posto. Li lascio cercare e ne approfitto per allontanarmi verso quella che ritengo l’unica direzione di fuga probabile visto il modo in cui si sono svolti i fatti, sempre ammesso che la beccaccia, vista l’ora tarda, si sia allontanata allarmata poco prima del nostro arrivo e non durante la mattinata infastidita da altri. A poco più di cento metri dal punto d’involo mi fermo e mi giro ad ascoltare i campani dei cani, che nel frattempo sono scesi ognuno su un fianco del cocuzzolo che stiamo esplorando. Il setter si avvicina e a venti metri da me lo vedo alzare la testa. È in emanazione e sta filando lentamente proprio verso dove sono io. Il cane si blocca in ferma a dieci metri guardando fisso nella mia direzione e io mi sento già la beccaccia nella cacciatora, anche perché il posto è pulito e il tiro è prevedibilmente facile.

Pochi secondi dalla ferma, il cane che muove i primi passi d’accostata. Un attimo per capire cosa sta succedendo e il frullo venti metri dietro le mie spalle mi lascia l’amaro in bocca sotto forma di una sagoma veloce che scompare controluce dietro un ramo di quercia. Ennesima dimostrazione, questa, di quanto sia sbagliato voler standardizzare il comportamento di un animale imprevedibile come la beccaccia, ora calma, ora indiavolata per il tempo, per le esperienze pregresse, per il disturbo continuo.

cacciatore beccaccia
Foto G. Lugaresi
Forse però questo aspetto è proprio il deus ex machina che ci porta nei boschi mattina dopo mattina, con il sole e con la pioggia, con il freddo che ci taglia la faccia o con il vento che ci ruba i cani. Forse questa è la vera ragione per cui anno dopo anno tentiamo l’approccio con questo animale rimessa dopo rimessa, imperterriti come i nostri cani.

Concludendo, con buona pace delle regole forse sarebbe bastato dire che l’esperienza acquisita giorno dopo giorno sarà l’unica a garantirci buone possibilità di successo nella fase del piazzamento e quindi di tiro. E se poi incontriamo una beccaccia che vende cara la pelle e che ci dimostra quanto sciocchi siamo a illuderci di saper tutto, poco male… vuol dire che andremo a caccia anche il mattino successivo, arricchiti però da un’esperienza in più.