Caccia alla beccaccia: perché ne parliamo

caccia alla beccaccia
© Stefano Stragliati

L’esposizione mediatica che ha attualmente la caccia alla beccaccia da molti viene additata come una delle cause della “svendita” di questa passione.

Se ne parla troppo, parlarne non è utile e talvolta dannoso, è oramai un business, i media la “cavalcano solo per interesse economico, basta parlare della posta come atto illegale perché quei vecchietti che si vogliono togliere le ultime soddisfazioni e che non riescono più a stare dietro ai cani in fondo non fanno alcun male, parlate bene e razzolate male.

Queste sono soltanto alcune delle affermazioni che spesso si leggono sui vari social.

Caccia alla beccaccia: da sempre alla ribalta

Eppure tra le cacce che fanno parte della nostra tradizione venatoria quella alla regina del bosco è alla ribalta da tempo immemore. I “mezzi” erano ovviamente diversi, ma già agli inizi del Novecento Nicola Camusso, dedicando una monografia alla beccaccia (“La beccaccia”, 1920), ne scriveva con enfasi.

Regina del bosco fu detta, ma non solo del bosco, sibbene di tutta la selvaggina io la direi sovrana. Nessun nome d’uccello fa battere il cuore del cacciatore quanto questo. La beccaccia! Basta questo magico nome ad elettrizzare il meno convinto dei seguaci di Sant’Uberto. È la beccaccia l’estrinsecazione di tutte le aspirazioni del cacciatore, lo scopo di tutti i suoi pensieri, la stella polare di tutti i suoi sogni ad occhi aperti. Il cacciatore d’oggidì, che per una starna sfida intemperie, stanchezza e fame, per una beccaccia sfiderebbe la morte!

E da allora fiumi di inchiostro si sono sprecati (a volte, purtroppo, nel vero senso della parola). Persino Ettore Garavini conclude la sua “bibbia” sulla regina del bosco scrivendo: parlatene, parlatene, parlatene.

Il primo blog on line fu quello di un cacciatore

Certamente i tempi sono cambiati, i mezzi di comunicazione pure, ma la passione per la caccia ha continuato ad alimentare emozioni forti. Forse non tutti sanno che nell’era di Internet Jorn Barger, un americano appassionato di caccia che era solito tenere traccia della propria navigazione in rete raccogliendo i link significativi in una sorta di diario personale, nel dicembre del 1997 ha pubblicato il primo blog dell’era digitale (battezzò, infatti, la sua raccolta con il termine weblog), dedicato proprio al suo interesse per l’ars venandi. E solo pochi mesi prima, Dave Winer, padre dei feed Rss e del podcasting, aveva inventato il software che permette la pubblicazione di questa tipologia di resoconti on line.

Quindi, in sostanza, il primo blog on line fu proprio quello di un cacciatore che voleva condividere la sua passione.

Caccia alla beccaccia: verso il futuro

Da che mondo è mondo i media si buttano sugli argomenti di interesse. Non ha senso, infatti, parlare di cose che non appassionano nessuno. Il punto è come se ne parla e il compito di chi fa informazione è quello di trattare argomenti e notizie con onestà intellettuale.

Se oggi noi parliamo di caccia, in particolare di caccia alla beccaccia, con un diverso approccio rispetto al passato (anche recente), lo possiamo fare anche grazie a certi canali di informazione che hanno trattato l’argomento in maniera corretta, perché solo parlandone – attraverso la divulgazione di informazioni e dati verificati – e aumentando così le nostre conoscenze si può contribuire a far crescere la sensibilità dei cacciatori verso una caccia sostenibile, l’unica che in questa epoca può avere (e avrà) un futuro.

Perché il cacciatore vero come afferma il filosofo Ortega Y Gasset è colui che abbatte perché è andato a caccia e non già l’uomo che va a caccia per abbattere.