L’Arcicaccia teme che la proposta di riformare la legge 157/92 e le reazioni che ha scatenato incentivino la transizione verso la privatizzazione della caccia, la cui componente sociale rischia di scomparire.
Nella campagna della Fondazione Capellino, che ritiene solo un tentativo «di screditare i cacciatori, una chiara iniziativa economica che ammicca al mondo animalista [invitandolo] a spendere cifre enormi nei prodotti» a marchio Almo Nature, e nella riforma della legge 157/92 promossa dal centrodestra l’Arcicaccia intravede una tendenza comune, finalizzata a favorire la privatizzazione della caccia a scapito della sua componente sociale.
Lo scrive in una lunga nota il presidente nazionale Christian Maffei, secondo il quale è finito sotto attacco «il cuore della tradizione e della cultura venatoria italiane», sintetizzate «in maniera equilibrata» dall’attuale formulazione della legge 157/92 e dall’articolo 842 del codice civile, quello che consente ai cacciatori l’accesso ai fondi privati e al quale l’Arcicaccia tiene particolarmente: non è accettabile dire che «è moderna e sostenibile la caccia [praticata] da pochi che pagano molto» (in questo contesto infatti a mediare tra i vari interessi è «il denaro», non «il confronto tra le persone»), e «anacronistica» quella praticata «da tutti, all’interno di un sistema di regole pubbliche».
In difesa della legge 157/92 e dell’articolo 842 del codice civile
Peraltro l’articolo 842 del codice civile ha radici storiche ben precise: «la disgregazione del grande latifondo», che a differenza che in altre nazioni l’Italia ha vissuto soltanto nel Novecento, «ha portato a frazionare la proprietà privata agricola a un livello senza precedenti in Europa»; dunque era necessario «salvaguardare una serie di [pratiche] che rischiavano di finire in crisi», come l’uso «di strade o sentieri interpoderali, le servitù di passaggio».
In un contesto così delicato la proposta di riforma della legge 157/92 ha prodotto una reazione «spropositata» da parte di animalisti e ambientalisti, e spingerà «parte del mondo venatorio [e del mondo] agricolo a tentare di demolire la caccia sociale e pubblica», all’insegna «di un’armonia ritrovata con la società civile» (sintetizzando al massimo: tollerateci visto che restiamo confinati nelle riserve).
Di questo, ritiene l’Arcicaccia, si sta discutendo, a questo serve la campagna della Fondazione Capellino e di questo si trovano «i semi» nella riforma del centrodestra, che proponendo di eliminare il divieto di lucro nelle aziende faunistico-venatorie e d’introdurre esponenti dell’Enci nei comitati di gestione degli Atc punta a ridurre gli aspetti pubblici e sociali della caccia in Italia. Contro una prospettiva di questo tenore l’Arcicaccia fa sapere che continuerà a combattere.
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