L’Arcicaccia esprime le proprie perplessità su alcuni punti fondanti della riforma della legge sulla caccia promossa dalla maggioranza che esprime il governo Meloni.
A meno di una settimana dalla data entro la quale i gruppi parlamentari dovranno aver presentato gli emendamenti, dopo aver commentato la riforma della legge sulla caccia davanti alle commissioni Agricoltura e Ambiente del Senato l’Arcicaccia notifica la propria posizione all’opinione pubblica; e non è una posizione favorevole.
La prima contestazione riguarda la strategia della maggioranza. «Forse» anziché affidare la riforma alla sola discussione parlamentare «sarebbe valsa la pena di procedere [in un altro modo]»: il governo Meloni «avrebbe dovuto presentare alle Camere la relazione sullo stato d’applicazione della legge, e da lì [sarebbe stato possibile] elaborare le modifiche ritenute necessarie».
L’impianto, ritiene l’Arcicaccia, tradisce una scarsa conoscenza delle esigenze reali del sistema. Ci si aggiungono alcune modifiche che potrebbero snaturare il ruolo del cacciatore, «da appassionato a cliente»: sono quelle che intervengono sulla regolamentazione delle aziende faunistico-venatorie (si lavora sull’abolizione del divieto di lucro) e agrituristico-venatorie, e che «rischierebbero di rendere la caccia un’attività esclusiva e costosa, limitando l’accesso ai giovani e ai meno abbienti; non può essere la caccia a fornire l’integrazione al reddito ricercata dagli agricoltori».
Per l’Arcicaccia «spingere sulla trasformazione degli istituti privati in imprese, facilitarne l’istituzione, equivale a superare surrettiziamente l’articolo 842 del codice civile, senza il quale non esiste più l’impianto fondante della 157/92».
Una serie di dubbi
L’Arcicaccia è critica anche sulle modifiche che riguardano il cinghiale (oltre al controllo, si dovrebbero valorizzare tutte le forme di caccia a partire dalla braccata, che «porta i numeri maggiori e deve [rimanere] il centro della gestione»; e la caccia di selezione deve tornare a interrompersi un’ora dopo il tramonto: «legarne eccessivamente il successo a strumenti costosissimi» come i visori notturni «crea disparità legate alla disponibilità [economica] dei cacciatori» e rischia di «incrementare gli episodi di bracconaggio») e sul mancato ampliamento dell’elenco delle specie cacciabili, nel quale sarebbe opportuno inserire quelle «che non presentano problemi di sostenibilità numerica e per le quali spesso si pagano i danni agli agricoltori».
Se le richieste dell’Arcicaccia troveranno rappresentanza politica e parlamentare, sulla riforma degli Atc bisogna attendersi una battaglia: alle perplessità sulla proposta di accorparli su base provinciale, infatti, si aggiunge la critica all’introduzione di un rappresentante dell’Enci, «tra l’altro di nomina governativa», nel comitato di gestione, nel quale semmai dovrebbero trovare rappresentanza, «in termini proporzionali», tutte le associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale. In aggiunta sugli Atc, l’Arcicaccia chiede che sia la fiscalità generale a finanziare le attività di gestione e di conservazione della biodiversità, «tema che interessa tutti, non solo i cacciatori».
A margine, bisogna segnalare che nella nota dell’Arcicaccia c’è un errore: non è vero che «le commissioni Ambiente e Industria (è la stessa che si occupa di agricoltura, ndr) del Senato [prepareranno] il testo definitivo, da sottoporre poi all’approvazione dell’aula […] senza possibilità di emendamenti»; su richiesta delle opposizioni, infatti, la riforma si sta discutendo in sede referente, non più redigente.
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