Uccise cane alla fine di una braccata: la sentenza del Consiglio di Stato

Uccise cane alla fine di una braccata: la sentenza del Consiglio di Stato: cane con cinghiale durante una braccata
© Natallia Yaumenenka / shutterstock

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un cacciatore che uccise il cane di un compagno alla fine di una braccata.

Non lo si può considerare soltanto un incidente, visto che «l’uso improprio del fucile ha cagionato la morte di un animale»: pertanto il Consiglio di Stato (sentenza 3585/24) ha respinto il ricorso di un cacciatore che, finita una braccata in provincia di Varese, aveva ucciso il cane di un compagno di caccia, poi risarcito, e che contestava le decisioni di questura e prefettura su revoca della licenza e divieto di detenere armi e munizioni.

La dinamica è sufficiente chiara: su indicazione del caposquadra il cacciatore era andato a recuperare un cinghiale abbattuto; aveva scambiato il cane lì vicino «per un altro cinghiale vivo, sopraggiunto; e, temendo per la propria incolumità, sbloccata la sicura aveva sparato nella sua direzione».

Decisioni ragionevoli

Già il Tar aveva valutato corrette le decisioni della questura e della prefettura, considerati «il contesto ambientale (spazio aperto, orario diurno), la mancanza di un oggettivo stato di pericolo che potesse giustificare la legittima difesa, la posizione del cane» che peraltro indossava un collare verde fluorescente con barre rifrangenti.

Non hanno rilievo il fatto che avesse inserito la sicura (è una delle «regole ordinarie di gestione dell’arma»), né («quasi volesse addossare ad altri la responsabilità dell’accaduto») la mancata comunicazione del compagno di caccia, che non s’era «premurato di avvertire via radio che il proprio [cane] vagava ancora per [la zona] oggetto della braccata».

Il cacciatore ha infatti sparato, per uccidere, a caccia finita «senza un [rischio] dimostrato di essere aggredito da un animale pericoloso per la sua incolumità personale»; di questo rischio peraltro «è lecito dubitare, [visto che] in zona era presente anche un altro cacciatore che s’accingeva a recuperare il cinghiale morto».

Il Consiglio di Stato considera ragionevole anche la considerazione delle forze dell’ordine: la condotta del cacciatore avrebbe potuto nuocere a persone. La revoca della licenza e il divieto di detenzione armi sono dunque doverosi.

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