Sentieri di Caccia n. 6 giugno 2019

Sentieri di Caccia maggio 2019

Editoriale

Un nuovo illuminismo

E’ spesso ingiustamente la caccia l’unico argomento su cui l’opinione pubblica punta il dito quando si parla di fattori critici per la tutela e la conservazione della fauna selvatica. E con questo non voglio dire che la caccia non rappresenti un fattore di mortalità additiva significativo, almeno per alcune specie. Negarlo non ha senso, né è intellettualmente onesto. Ma non è certo l’unico; ne affianca altri altrettanto significativi e in alcuni casi più impattanti, che vanno dai cambiamenti del clima alla trasformazione degli habitat naturali, dal consumo del suolo all’impatto dell’agricoltura intensiva. Per citarne soltanto alcuni. Considerando i tanti fattori che incidono sullo status delle popolazioni di fauna selvatica, ce n’è però uno che, oggi, tende a essere una delle questioni meno considerate da parte dell’opinione pubblica: il disturbo antropico nei confronti della fauna selvatica. Questione invece non poco rilevante. Esistono, infatti, molte attività ludiche legate all’escursionismo e agli sport invernali, che però non tengono conto dell’effetto negativo che possono avere sulla fauna specialmente nei periodi maggiormente critici per gli animali, come ad esempio l’inverno.

Mi sono trovata a discutere con dichiarati amanti della natura che nemmeno arrivavano a capire il tema e così l’animalista, che magari lascia girare senza controllo il proprio cane per i boschi, punta il dito sul cacciatore, il cacciatore sull’escursionista e via dicendo; le responsabilità sono sempre degli altri e ricadono su attività diverse dalle proprie passioni. Sembrano quasi tutti poco propensi a una sana autocritica, che non vuol dire auto-condannarsi, ma semplicemente prendere coscienza dell’impatto che quanto facciamo può avere su ambiente e fauna e, con la consapevolezza di ciò, seguire delle regole che rendano le nostre attività sostenibili.

Come la caccia non è a costo zero, non lo sono altrettanto avventurosi fuori-pista con gli sci ai piedi o le tanto romantiche e pubblicizzate ciaspolate notturne in serate con la luna piena.

In questo contesto segnalo una pregevole iniziativa, Be Part of the Mountain (bepartofthemountain.org), che mira a facilitare lo scambio di informazioni e buone pratiche, sviluppare strumenti comuni per aumentare la consapevolezza sulle tematiche ambientali e implementare le azioni di comunicazione condivisa per sensibilizzare gli appassionati di attività outdoor sull’impatto che queste possono avere sulla fauna alpina. Coordinata dall’unità operativa di Alparc (la Rete delle aree protette alpine), Be Part of the Mountain è quindi un’iniziativa di cooperazione internazionale che associa aree protette, organizzazioni di protezione dell’ambiente, istituzioni, club alpini e altri portatori d’interesse presenti in tutto l’arco alpino. La mission è quella di divulgare un’informazione corretta per rafforzare le conoscenze degli amanti dell’outdoor, contribuendo così alla salvaguardia e alla coesistenza sostenibile tra attività all’aria aperta e fauna selvatica. Lo scambio di conoscenze ed esperienze e la condivisione di strumenti e mezzi sono al centro del progetto. Chi pratica le attività outdoor in montagna principalmente durante la stagione invernale deve, infatti, essere cosciente che gli animali che lì vi abitano si trovano in alcuni momenti ad affrontare particolari criticità. Gli ungulati, ad esempio, terminano l’autunno già affaticati, provati dalla stagione degli amori, le femmine sono gravide, il cibo scarseggia, le riserve di grasso sono ridotte, le condizioni climatiche spesso estreme. I galliformi alpini devono accontentarsi di cibarsi di aghi di larice o di altre essenze vegetali quasi indigeribili e passano molto tempo riparati per proteggersi dai predatori e dal freddo. A questo proposito è interessante quanto evidenziato in un articolo pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Ornithology, che presenta i risultati di uno studio sul disturbo antropico sul fagiano di monte, andando a indagare il metabolita fecale del corticosterone, l’ormone dello stress negli uccelli; è infatti emerso in maniera molto chiara come i soggetti con maggiore stress fossero concentrati vicino agli impianti e nelle aree destinate allo sci-alpinismo e alle discese free style e ripetendo le osservazioni l’anno successivo, in assenza di neve e di conseguenza di sciatori, si è invece osservato come il livello di stress fosse omogeneo in tutte le aree campione, comprese quelle vicino agli impianti e interessate da varie attività sportive.

Se i cacciatori, come è assolutamente giusto che sia, devono non solo attenersi alle leggi, ma anche dimostrare un comportamento etico e consapevole nella pratica della caccia, altrettanto devono fare tutti coloro che si dedicano ad attività che in qualche modo impattano su ambiente e fauna. Soltanto una corretta cultura ambientale, scevra da pregiudizi, e la presenza di una coscienza civile saranno in grado di guidarci verso un percorso evolutivo dove gli interessi di ognuno saranno di buon grado modulati sulle esigenze della patria che ci ospita. Che è per tutti una, il pianeta Terra. Perché siamo ospiti e non padroni. Perché, ricorda Gandhi, la Terra fornisce abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di ogni uomo, ma non per assecondare l’avidità di ognuno.

Viviana Bertocchi