Emergenza sanitaria e caccia: una via d’uscita

Emergenza sanitaria e caccia: altana da caccia all'alba
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Come si fa a coniugare emergenza sanitaria e caccia? Il Covid-19 ha di fatto interrotto i censimenti primaverili. L’Ispra ha cominciato a muoversi, le Regioni si stanno attrezzando per preparare piani di prelievo sostenibili ma non bisogna perdere di vista l’approccio conservativo. E non ci sono solo i cervidi.

La pandemia è censimenti sospesi e una gestione da ripensare: la dialettica tra emergenza sanitaria e caccia costringe a una riflessione supplementare. Prima sottovalutato, poi dirompente nel contagio, il Sars-Cov-2 ha cambiato le abitudini degli italiani. Ci vorrà un bel po’ per liberarsi da quel maledetto pallino. Nel frattempo c’è da capire che succederà al Paese via via che l’infezione sarà stata contenuta. Piano piano l’Italia si scongelerà e dovrà fare i conti con gli effetti di una sospensione ancora indefinita. L’economia, certo, e i rivoli quotidiani della vita associata prenderanno la scena, ma un sistema si compone di ombreggiature multiformi.

È vero che, se si esclude qualche giorno di selezione in alcune regioni, la stagione di caccia non è stata intaccata. Ma la gestione faunistico-venatoria opera tutto l’anno e se la si congela si rischiano di vederne gli effetti nel lungo periodo. I censimenti primaverili sono andati in cavalleria. A prescindere dalle mosse esplicite delle Regioni ancora una volta in ordine sparso, gioie e misteri del Titolo V, è chiaro che la stretta sugli spostamenti ha impedito ai cacciatori di contare ungulati e galliformi. Non c’è lavoro, necessità o salute in un censimento faunistico. E quindi le informazioni sui selvatici che popolano il territorio son rimaste incomplete, antiche, non aggiornate. È chiaro che lo scenario è in divenire, ma bisogna sperare che tra l’estate e l’autunno ne saremo usciti fuori. Che si fa dunque con i piani di prelievo, nell’ipotesi di caccia aperta ma censimenti non completati?

Emergenza sanitaria e caccia: un approccio prudenziale

«È abbastanza discutibile decidere di tener conto in maniera acritica delle serie storiche» commenta Silvano Toso, già direttore generale Infs e responsabile del Servizio consulenza faunistica di Ispra, ora presidente di Eps Emilia Romagna. «Secondo un approccio verosimilmente conservativo e prudenziale, per cervidi e bovidi possono risultare accettabili piani di prelievo basati sul numero di individui realmente avvistati durante i censimenti dello scorso anno e che ovviamente rappresentano una frazione della consistenza reale». Si tratta infatti di specie la cui dinamica di popolazione non oscilla generalmente granché in un arco temporale così limitato. «È invece assai rischioso basarsi sui piani di prelievo realizzati nella stagione passata, che dicono poco della dinamica delle popolazioni se non li si compara con lo sforzo di caccia esercitato».

Diverso è il caso del cinghiale: «le variazioni della sua consistenza sono assai più difficilmente stimabili attraverso conteggi diretti e presenta una dinamica di popolazione meno resiliente». Ancora più problematica è la gestione dei galliformi, visto che la mortalità e dunque il tasso di incremento risentono molto delle condizioni climatiche di ogni singola stagione riproduttiva: «in questo caso è ancora più azzardato stabilire piani di prelievo sulla base delle serie storiche». Il principio di realtà ci induce a ritenere che le amministrazioni regionali faranno riferimento alla nota Ispra che sostanzialmente si ispira ai concetti appena evidenziati.

Emergenza sanitaria e caccia: indicazioni precise

Già, la nota Ispra. Chi deve sottoporre alla sua valutazione i piani di prelievo di ungulati e galliformi sa quale sia la linea indicata. Per cervidi e bovidi Ispra si esprimerà tenendo conto della serie storica quinquennale (“conteggi, piani di prelievo proposti, prelievi realizzati”) e degli obiettivi previsti dai singoli distretti. Ove possibile, per determinare il numero minimo delle popolazioni di cervo e capriolo si potrebbe fare affidamento sul conteggio notturno con faro effettuato da personale d’istituto (polizia provinciale, tecnici degli Atc o dei comprensori alpini, liberi professionisti, dipendenti delle amministrazioni pubbliche e private).

Ispra ritiene che, oltre ai dati storici della gestione venatoria, possano essere utili anche informazioni desunte con metodi alternativi come “fototrappole, pellet group count, distance sampling con termografia a infrarossi, indici biometrici di popolazione”. Le disposizioni “non appaiono pregiudicare per ora le attività di conteggio con il metodo del census block” di solito “utilizzato per il camoscio”.

Emergenza sanitaria e caccia: calare le istruzioni nella realtà

Differente la situazione per il cinghiale. Generalmente i conteggi primaverili non hanno un peso decisivo. Servirà dunque raccogliere i dati sugli interventi di prelievo e i cinghiali abbattuti, in caccia e controllo, nella scorsa stagione. Ciò consente di capire meglio come i cinghiali siano distribuiti sul territorio e di valutare sia gli impatti (su agricoltura e biodiversità + incidenti stradali) sia l’efficacia della programmazione gestionale. Detto al contrario: visto che non sono essenziali, non riuscire a realizzare i censimenti di cinghiale non è un limite per redigere un piano di prelievo o per valutarlo.

Sui galliformi invece si rischia la stretta. In assenza di monitoraggio primaverile e verifica del successo produttivo, Ispra ritiene infatti opportuno escludere dal prelievo 2020/2021 coturnice, pernice sarda e fagiano di monte. In caso di esclusivo monitoraggio tardo estivo, Ispra potrà esprimersi sui piani di prelievo formulati in base al numero minimo certo degli animali contati in ogni distretto.

Fin qui la teoria. Poi, come sempre, c’è da calarla nella realtà. Bisogna capire come si muoveranno le Regioni nell’ipotesi che la stagione venatoria si apra regolarmente. Abbiamo tentato di farlo concentrandoci sulla dorsale appenninica. Al nord hanno problemi decisamente più tragici, ci sembrava insensato domandare di caccia. Però ecco, una linea emerge e, tra il detto e il sottinteso, può rappresentare una bussola provvisoria.

Emergenza sanitaria e caccia: verso la stagione 2020/2021

Emergenza sanitaria e caccia: occhi fissi sul cinghiale

«Prima di metà giugno, quindi prima dell’apertura a capriolo e daino, invieremo a Ispra la serie storica di ogni singolo distretto, con l’indicazione dei selvatici realmente abbattuti nell’ultimo quinquennio, la densità obiettivo dell’ultima stagione e, media, degli anni precedenti e quella che dobbiamo raggiungere. Sulla base di questo» spiega Maria Luisa Zanni, dirigente ufficio caccia della Regione Emilia Romagna, «valuteremo se è prudente proporre di prelevare lo stesso numero di selvatici abbattuti lo scorso anno». Non previsti, ripete: «abbattuti».

Per il cinghiale la situazione è diversa e, nei fatti, decisamente più piana: raccogliendo i dati georeferenziati sui danni, la Regione monitora costantemente la specie. «Abbiamo stabilito una soglia tollerabile di danni, oltre la quale scattano misure anche drastiche nei confronti di chi gestisce le realtà territoriali». L’Emilia Romagna ha messo a punto il riepilogo di danni, abbattimenti e sforzo di caccia e ha già ottenuto da Ispra di ampliare, tempi e orari, il periodo di caccia al cinghiale: «in condizioni di luminosità sufficienti, la caccia di selezione al cinghiale potrà essere effettuata anche a mezzanotte».

In questi giorni la giunta Bonaccini sta valutando il documento degli uffici tecnici che hanno proposto il contingente minimo di cinghiali da abbattere, il danno tollerabile e il danno realmente rilevato in ogni distretto. «Non basta affermare che in Emilia Romagna il cinghiale è un problema» nota Zanni. «C’è chi lo gestisce bene e chi no. Bisogna tenerlo presente quando si preparano i piano di prelievo, considerato che tra gli obiettivi della Regione c’è la riduzione del suo impatto».

Caccia no, censimenti no, controllo sì: che siano necessità o lavoro, le operazioni di polizia faunistica sono state lasciate vive dai decreti del governo. «È chiaro» commenta Zanni «che i limiti sugli spostamenti hanno creato qualche difficoltà, ma le operazioni di controllo faunistico non si sono interrotte». Chiaramente solo a singolo, le misure di distanziamento sociale (magari a dramma spento torneremo anche sull’orrore di una formula già semanticamente orrida) impediscono qualsiasi aggregazione.

Emergenza sanitaria e caccia: ungulati, ma non solo

Situazione in divenire sui galliformi: in condizioni normali, l’Emilia Romagna è impegnata nei censimenti obbligatori di starna e pernice la stagione dei quali è per fortuna cominciata in anticipo. «Non abbiamo ancora preso accordi con Ispra per le zone in cui non sono stati effettuati».

La posizione dell’Emilia Romagna, che per la gestione e la pianificazione venatoria è eccellenza assoluta, è chiara: «bisogna capire per quanto si protrarrà questo periodo. A noi» spiega Zanni «interessa che l’aumento della fauna selvatica non sia eccessivo, e quindi non penalizzi l’agricoltura». La priorità è il cinghiale: «senza niente togliere alla caccia collettiva, possibile solo in autunno e inverno, auspichiamo che in primavera ed estate la selezione abbia un ruolo decisivo».

Unica specie prelevabile in selezione, il cinghiale è al centro dei pensieri anche dell’Abruzzo. Particolari problemi non dovrebbero esserci. La nota Ispra depotenzia il peso dei censimenti, peraltro la Regione fa costante riferimento ai dati dell’anno prima. È chiaro che, più che la selezione, potrebbe essere condizionata la caccia collettiva: se le misure di contenimento fossero dilatate o allentate solo gradualmente, alcune forme di aggregazione – anche venatoria, e non solo in Abruzzo – potrebbero risentirne.

Problemi sparsi e diversi per la caccia in Toscana

La Toscana ha interrotto i censimenti ben prima dei decreti che di fatto li rendevano impossibili: «ci partecipano cacciatori veneti, emiliani, laziali. Abbiamo deciso per lo stop non appena le misure hanno cominciato a stringersi» racconta Paolo Banti, dirigente dell’ufficio Caccia. La Toscana ha deciso che per gli ungulati terrà validi i dati della scorsa stagione, parametrati sugli abbattimenti. «L’inverno è stato mite» spiega Banti «la percentuale delle nascite non si è abbassata, i piccoli sono sopravvissuti. Vedremo poi se, e come, dovremo ritoccare le indicazioni». Il controllo faunistico prosegue anche in Toscana, è un periodo delicato per i danni alle coltivazioni: «abbiamo invitato le polizie provinciali a proseguire gli interventi, in forma singola senza grandi spostamenti».

Ciò che succederà nelle prossime settimane è nella mente di Dio e del governo. È vero che la caccia di selezione non è stata formalmente chiusa, ma raggiungere il luogo di caccia si è rivelato impossibile: sarà fondamentale capire quali misure saranno in vigore a giugno, quando sulla carta riprende il prelievo dei cervidi.

Emergenza sanitaria e caccia: occhio alla tenuta degli Atc

Sulle immissioni di fagiani, la Regione attende la convalida della propria interpretazione. Sono «operazioni di ripopolamento, non a fini ludici o ricreativi» come sarebbe eventualmente il pronta-caccia, e dunque ancora possibili. È una mossa che tutela il benessere animale. È infatti pericoloso tenere rinchiusi in allevamento gli animali da riproduzione, in spazi ristretti possono arrivare a ferirsi o addirittura uccidersi. Chiaramente le precauzioni devono essere le solite. Conducente del camion, che poi materialmente procede all’immissione, e tecnico dell’Atc non possono viaggiare sullo stesso mezzo.

Ma sulla gestione faunistico-venatoria la Toscana è abbastanza serena. Ciò che, si sussurra, preoccupa di più è la tenuta degli Atc: verosimilmente aumenteranno i danni da selvaggina, e chissà quando i cacciatori riusciranno a iscriversi. Ma ci sarà tempo per pensarci, nel frattempo c’è da tenere duro e aspettare che passi la buriana.

Emergenza sanitaria e caccia: verso il contenimento del prelievo

Parametrata sulla diversa situazione sanitaria e venatoria, l’emergenza sta condizionando anche Trentino e Alto Adige. Sulla caccia finora non ha inciso – e non avrebbe potuto: gli ungulati chiudono a dicembre, volpe e alcune specie di migratoria a gennaio – ma non è detto che non succeda. Sono infatti in bilico le prime uscite a cervo e capriolo che tradizionalmente aprono a inizio maggio. E sotto la tagliola sono già caduti i censimenti sul primo verde, le tre uscite a cavallo tra marzo e aprile, e le rassegne di gestione che il popolo meglio conosce come mostre trofei.

È chiaro che questa è un’istantanea: la situazione è fluida, l’intensità dell’emergenza è geograficamente frastagliata, non tutte le Regioni si muovono sugli stessi binari. C’è chi, l’Umbria su tutte, sottopone i piani di prelievo al proprio osservatorio faunistico anziché all’Ispra; chi non si è ancora espresso sulla caccia, perché più direttamente coinvolto nella tragedia socio-sanitaria. Si aprirà poi la lunga discussione sui calendari venatori, ogni valutazione sui quali è prematura. In Campania, esempio chiaro, alcune associazioni hanno fatto blocco per chiedere che la giunta replichi alla lettera le indicazioni di dodici mesi fa. Ci sarà da lavorare.

La linea comunque è chiara e dietro le quinte sfiata un mormorio sempre più distinto: alla fine le Regioni applicheranno una percentuale di prelievo più bassa rispetto agli anni precedenti. È una suggestione, ma di quelle solide.

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