In attesa della decisione del Tar della Lombardia su uno dei ricorsi che caratterizzano la vicenda, il Consiglio di Stato ha rinviato la propria pronuncia sulla corretta identificazione dei valichi montani da sottoporre a tutela.
Sulla questione pende ancora un ricorso (in realtà due: di quello principale s’attende l’esito il prossimo 13 gennaio) al Tar: pertanto il Consiglio di Stato ha rinviato (ordinanza 9420/25) la propria decisione sull’appello della giunta Fontana, che contesta la sentenza emessa in primo grado – prima che il parlamento modificasse la legge 157/92 – in accoglimento del ricorso della Lac.
È la coda della vicenda nata dalla pronuncia con cui la Corte costituzionale definì illegittimo l’articolo della normativa regionale che circoscriveva il divieto di caccia ai soli valichi montani ricompresi nel comparto alpino di maggior tutela; era seguita la nomina di un commissario, scelto nei quadri dirigenziali dell’Ispra, dopo la quale la protezione era scattata in prossimità di tutti e 475 i valichi presenti nel territorio.
Nel mezzo la Regione aveva fatto salire da diciannove a ventiquattro (poi ventitré) il numero di valichi da proteggere, e la Lac s’era rivolta al Tar contestando l’inottemperanza dell’obbligo; è questo il ricorso che ancora pende.
«È naturale» commenta Marco Bruni, il presidente della Federcaccia Lombardia, che «quest’anno la [stagione di] caccia continuerà fino alla sua scadenza naturale»; la legge regionale approvata all’inizio di quest’autunno dispone che a regolare la fase transitoria sia «il secondo periodo dell’articolo 21 della legge 157/92», che circoscrive le restrizioni ai soli valichi intorno ai quali le migrazioni sono «rilevanti», e nei quali il dislivello, a una quota d’almeno mille metri, con i due contrafforti montuosi vicini comporta «un apprezzabile restringimento lungo un passaggio obbligato» per gli uccelli; in questo contesto anziché il divieto di caccia scatta l’obbligo d’istituire zone di protezione speciale.
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