Cinghiale che passione n.1 Dicembre-Gennaio 2019

Cinghiale Che Passione dicembre -gennaio 2019

Editoriale

Non alimentiamo il pregiudizio

I nostri avversari non sono tanti ma sono potenti e si annidano dappertutto. A ogni apertura, a ogni incidente di caccia, a ogni tentativo di tutelare un diritto – quello di cacciare – che se consapevole e responsabile è perfettamente compatibile con una visione conservativa del contesto naturale, sanno come farsi ascoltare. Sempre banalità, molto spesso falsità belle e buone, verità di comodo che pochi hanno interesse a verificare. Sostenuti dalla “cultura” dominante, da telegiornali, trasmissioni di approfondimento, quotidiani, periodici generalisti. Per non parlare degli organi d’informazione ideologizzati e apertamente schierati, che in fin dei conti non fanno altro che il proprio lavoro.

Ciò che turba è che siano i media apparentemente neutrali a gridare a gran voce contro di noi. Si reclama un minimo sforzo di oggettività, ma finora questa richiesta fatica a trovare cittadinanza sulle colonne dei quotidiani nazionali e nei dibattiti televisivi. Sarà che la morte delle ideologie, degli schemi politici per cui un tempo c’era chi si scontrava fisicamente ha lasciato un vuoto da riempire. Un vuoto d’odio, mi viene da pensare, perché di odio – e non di un pacato confronto – ormai si tratta. Sarà che il fallimento di una politica faziosa e divisiva ha influenzato l’evoluzione del pensiero moderno. Che ha dovuto cercare altri campi di scontro. Sarà il populismo, la bigotteria di chi difende strenuamente valori e ideologie condannate dalla storia. Sarà, ma il clima che si respira non è dei migliori e noi, come cacciatori, per qualche congiuntura astrale siamo diventati il bersaglio preferito degli hater di professione, che non esitano ad avvelenarci i cani, a disturbare le nostre battute, a tagliarci le gomme delle auto e a denigrarci, quando non ad augurarci la morte, sui social media o, con lo spray, sull’intonaco dei muri.

Ho già parlato della distanza morale che ci divide da chi fa della difesa degli animali una battaglia più meritevole di essere combattuta, che so, di quella per il rispetto della vita e dei diritti umani. Se potessi ragionare in termini politici, gioirei dell’imbarbarimento dei nostri avversari, del suicidio ideologico dei radical chic, di quelli che combattono battaglie senza senso, schiumando rabbia. Potrei gioire perché, passato il tramonto della ragione, e superata la notte della morale, la loro inconsistenza li condannerà all’inutilità. Ma non posso fare a meno di preoccuparmi di un presente cupo, in cui noi cacciatori siamo oggetto di campagne d’odio che travalicano il confronto leale tra chi ha visioni di vita differenti. E non posso fare a meno di preoccuparmi del fatto che la caccia sia oggi percepita come un rischio per la società. Da una parte, certo, c’è il pregiudizio. Ideologico, di pancia, con il quale è difficile confrontarsi. Se, però, la percezione del rischio legato all’esercizio venatorio diventa un elemento reale, come documentano gli incidenti di caccia che si susseguono anche in questa stagione, allora abbiamo un problema che travalica i confini del mondo falsamente ambientalista per coinvolgerci in maniera più diretta. Insomma, non nascondiamoci dietro a un dito. Ogni vittima umana ferita – codice bianco, codice rosso o peggio -, ogni animale illegalmente abbattuto, ogni sopruso esercitato nei confronti di chi vuol legittimamente condividere il bosco è una freccia che mettiamo all’arco dei nostri avversari. Benzina che versiamo nel serbatoio di chi vive alimentando il pregiudizio nei nostri confronti. Ancor prima di essere un problema etico che rende opinabile il nostro diritto a essere cacciatori. Per non parlare poi della tentazione al giustificazionismo che alligna tra di noi quando ci si trovi a commentare fatti e fattacci che riguardano la nostra passione. L’accondiscendenza che in tanti dimostrano quando si tratterebbe di condannare condotte e abitudini sbagliate è un’altra arma che offriamo ai nostri avversari. Con i nostri comportamenti continuiamo a cedere il fianco a critiche, accuse, recriminazioni. Sia chiaro, qui non si tratta di mettere alla gogna chi sbaglia – questo non spetta a noi – ma di condannare, senza tentennamenti, pratiche, usi, costumi che mettono a repentaglio vite umane. E di chiedersi perché la caccia sia tanto più pericolosa in Italia che nel resto del mondo.

 Matteo Brogi