Caccia Magazine n. 9 settembre 2021

Editoriale

L’onore di un privilegio

Non importa in quale forma la si pratica; la terza domenica di settembre rappresenta per tutti l’apertura della caccia. C’è chi ha già assaporato le giornate della pre-apertura, chi ormai da giugno insidia il maschio del capriolo, chi di selvatici ne ha già visti in fase di addestramento cani ma l’apertura è il momento che accomuna tutti. Un rito che riunisce e si celebra insieme. La stessa liturgia, le medesime aspettative, un unico fine: quello di replicare con correttezza un atto formalizzato dalla legge e che costituisce uno dei momenti fondanti della nostra umanità. Uomini e donne, giocando d’astuzia e seguendo i cani che millenni di domesticazione e l’ingegno hanno trasformato in fedeli ausiliari, si confrontano con il selvatico e la propria natura più profonda.

In questi giorni in cui vivo con il consueto anticipo lo spirito dell’apertura mi sono imbattuto in una citazione del colonnello Felice Delfino, tratta da quel saggio fondamentale che è il suo Addestramento del cane da ferma. Esattamente 90 anni fa Delfino scriveva: “La figura rustica del cacciatore […] racchiude il più delle volte un temperamento sensibile di artista, un animo suggestionato dalle bellezze della natura, un cuore che vibra di tenerezza per il più insignificante degli esseri viventi, di sentimenti generosi e cavallereschi. La sua gran passione non nasce dalla smania di uccidere, neppure dalle brame della gola né dalla rapacità del lucro, ma è generata dall’amore per la lotta, dall’amore per la fatica e per la dura vita all’aperto, dal fascino del paesaggio selvaggio […] e dal complesso delle emozioni forti che s’incontrano in ogni episodio della vita del cacciatore”.

Da quegli anni, che qualcuno ha descritto come il periodo d’oro della caccia in Italia, non ci separa solo la prosa. Ci divide la maturata consapevolezza del ruolo del cacciatore, che in epoca moderna deve fare i conti con una visione più ampia delle conseguenze delle proprie azioni. Responsabilità e biodiversità sono diventate le nuove parole d’ordine. Oggi ci rapportiamo con una Nazione ancor più impoverita di risorse, dove le conseguenze dell’agire vanno ben oltre i delimitati orizzonti del nostro territorio di caccia. Ci confrontiamo con temi come il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici, le cui cause possono essere dibattute quanto si vuole ma le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Assistiamo impotenti all’abbandono delle colture e delle culture tradizionali, alle conseguenze nefaste dell’agricoltura intensiva, allo spopolamento delle nostre montagne e degli Appennini, alla fauna che si riversa nelle grandi città.

I sentimenti cavallereschi cui si uniformava Delfino con la sua generazione di cacciatori sono stati codificati – in mancanza di una profonda condivisione – nei principi dell’etica venatoria.

L’apertura ci riporta a vivere il succo profondo della nostra passione. Ci rinnova il ricordo della prima volta, del primo sparo, della prima ferma di un setter e della prima canizza, sinfonia esaltante per novizi e veterani. Ci ricorda chi ci ha portato la prima volta a caccia, i nostri compagni di avventure, chi ha saputo travasare in noi il sacro fuoco. Per qualcuno è un momento struggente e malinconico ma rappresenta la vita che riprende il suo fluire dopo mesi di confinamento, il rinnovarsi degli interessi coltivati col ricordo nei mesi di forzata inattività.

L’apertura è, anche letteralmente, dove tutto ha inizio, l’alba che per convenzione rappresenta per ogni cacciatore – codaioli, cacciatori di selezione, migratoristi, cinghialai, segugisti e mi scuso con chi ho trascurato – il momento in cui si concretizzano i sogni.

Sfruttiamo allora questi ultimi giorni per completare la nostra preparazione. Quella dell’attrezzatura, che deve essere efficiente, e quella dello spirito. Che deve sempre essere aperto alla generosità di cui parlava Delfino, nei confronti del selvatico e di tutta la nostra comunità. Prepariamoci con attenzione e andiamo orgogliosi del privilegio del nostro essere cacciatori. Non tanto perché la licenza rappresenta una concessione che viene fatta solo ai cittadini perbene. Ma perché anche quest’anno avremo la possibilità di respirare albe, tramonti e le emozioni che la caccia saprà donarci a piene mani.

In bocca al lupo.

Matteo Brogi