La cabina di regia del mondo venatorio chiede alla Corte costituzionale di valutare la legittimità della normativa che consente di servirsi della firma digitale per sottoscrivere le richieste di referendum abrogativo.
Rappresenta «una minaccia potenziale» ai principi di rappresentatività democratica, perché fa venir meno «le garanzie di tutela necessarie» e crea «rischi non ponderati»: così, nella memoria presentata alla Corte costituzionale, le associazioni riunite nella cabina di regia del mondo venatorio (Federcaccia, Enalcaccia, Libera Caccia, Arcicaccia, Anuu migratoristi, Italcaccia, Cncn) descrivono l’opportunità di servirsi della firma digitale per sottoscrivere le richieste di referendum abrogativo.
È consistente, si legge, il pericolo «di compromettere l’equilibrio del sistema democratico italiano»: l’eccessiva semplificazione del processo di raccolta digitale «svuota di significato» la soglia del mezzo milione di firme, «originariamente pensata dai costituenti come garanzia di serietà delle richieste referendarie».
Rappresentata da Alfonso Celotto, ordinario di diritto costituzionale all’Università Roma Tre («L’assenza di meccanismi di bilanciamento» commenta in una nota «potrebbe trasformare il referendum da strumento di democrazia diretta a mezzo di pressione politica nelle mani di gruppi organizzati, snaturandone la funzione originaria»), alla Corte costituzionale la cabina di regia del mondo venatorio ha dunque chiesto di valutare la legittimità della normativa, «per prevenire un uso improprio dello strumento referendario, e tutelare il mondo della caccia da possibili ripercussioni negative». Il quadro normativo deve restare il risultato «di un processo democratico, rappresentativo e ben ponderato, a garanzia di tutti i cittadini».
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