Zecche a caccia: attenzione alla malattia di Lyme

Zecche a caccia
© Nechaevkon / shutterstock

Reso più frequente dall’aumento medio delle temperature, il morso delle zecche a caccia può comportare una serie di effetti dannosi: uno di questi è l’insorgere della malattia di Lyme.

Un tempo i rigori dell’inverno mandavano in letargo alcuni mammiferi e sterminavano centinaia di insetti e parassiti: c’era meno da preoccuparsi sui possibili morsi delle zecche a caccia. Ma negli ultimi decenni stiamo assistendo a una progressiva tropicalizzazione del clima, con aumento delle temperature e dei tassi di umidità. Questi fenomeni incidono notevolmente sull’ecosistema. Se un tempo l’incontro con alcuni tipi di insetti e parassiti era favorito nella stagione calda, oggi è possibile imbattersi in incontri poco felici anche nei mesi invernali. D’altro canto, nei mesi caldi le probabilità di incorrere in morsi e punture sono statisticamente ancor più alte. Vediamo allora come comportarci in caso di un evento molto frequente e dibattuto ma spesso poco conosciuto: il morso di zecca.

Le zecche sono artropodi estremamente efficienti nel diffondere un gran numero di virus, batteri e parassiti. Generalmente, le zecche presentano una bassa specificità di specie per cui, in assenza dell’ospite preferito, possono attaccarsi al primo ospite utile di passaggio. L’uomo rappresenta solitamente un ospite occasionale. Il serbatoio è rappresentato dai cervidi e gli ovini. Al passaggio di uno dei suoi ospiti la zecca risale fino a conficcare il rostro (testa) nella cute. In questa sede, dopo 36-48 ore, avvia il suo pasto di sangue preceduto da un rigurgito del suo contenuto intestinale che può dare origine all’infezione. La malattia di Lyme è sostenuta dalla spirocheta, la Borrelia burgdorferi.

La malattia di Lyme

Descritta per la prima volta in America alla fine degli anni Settanta, questa malattia si è diffusa ormai in tutto il Mediterraneo e anche in Italia. Sebbene ne sia portatrici una piccolissima percentuale di zecche, è possibile contrarre questa patologia in tutta la Penisola. La caratteristica di questa malattia, che ne rende particolarmente difficile la diagnosi, è il fatto che i sintomi sono abbastanza generici e compaiono nelle varie fasi a distanza di mesi o addirittura anni. Perciò è quasi impossibile, in assenza di sospetto, ricondurli al batterio in questione, la Borrelia burgdorferi.

Fase localizzata

Se la zecca che ci ha punti era portatrice della Borrelia comparirà un caratteristico alone rosso nel punto del morso, da 3 a 30 giorni dopo la puntura. Dopo tanto tempo può capitare di essersi dimenticati del morso di zecca che lo ha preceduto. Può capitare raramente che la zecca non venga rinvenuta perché si è staccata spontaneamente. La lesione cutanea che compare è un alone spesso circondato da anelli più larghi come a formare un bersaglio, non è pruriginoso e non dà alcun fastidio, tende ad allargarsi nel tempo fino ad occupare grandi superfici, come tutta la coscia o il dorso.

Fase disseminata

Qualche giorno o settimana dopo la comparsa dell’eritema possono sopraggiungere i sintomi dell’infezione che, tramite la circolazione ematica, si è diffusa a tutto il corpo. Il quadro è simile a una brutta influenza, caratterizzato da stanchezza profonda (difficoltà a fare le scale e portare pesi anche leggeri), febbre, brividi, cefalea, dolori muscolari, linfonodi ingrossati, grandi articolazioni gonfie e rosse (spesso ginocchia, gomiti, caviglie). In questa fase le lesioni cutanee si diffondono ad altre parti del corpo, anche se più piccole.

Un quarto (25%) dei pazienti non sviluppa le lesioni cutanee, e questo rende ancor più difficoltosa la diagnosi. In una piccola percentuale (15%) di soggetti si possono avere manifestazioni più gravi, correlate all’interessamento di nervi (come il nervo faciale) o tessuto cardiaco. I sintomi in questi casi sono meningite con cefalea e rigidità del collo, paralisi del faciale con rilasciamento dei muscoli del volto di uno o due lati o problemi di conduzione cardiaca con aritmie, miocardite o pericardite e conseguente dolore toracico.

Fase tardiva

Dopo la fase disseminata della malattia alcuni o tutti i sintomi si attenuano fino a sparire. Inizia una fase di quiescenza cui possono far seguito i sintomi tardivi dell’infezione, che spesso di manifestano dopo mesi o addirittura anni. La terza fase della malattia di Lyme è molto insidiosa, poiché i sintomi sono difficilmente riconducibili a un’infezione contratta così tanto tempo prima. Generalmente si tratta di manifestazioni a livello di grandi articolazioni (specialmente le ginocchia) dove ciclicamente può accumularsi un versamento e comportare gonfiore, rigidità e dolore, a livello del cuore (in alcuni casi serve addirittura posizionare un pacemaker per ristabilire il ritmo cardiaco) e cerebrale, con problemi a livello del linguaggio, del sonno e dell’umore.

Diagnosi

La diagnosi della malattia di Lyme necessita prima di tutto di un fattore: pensarci. Essendo una malattia relativamente rara non è immediato ricondurre i sintomi a questa infezione. Perciò è importantissimo conoscere la malattia e il suo decorso in modo da avere quantomeno il sospetto e indirizzare il medico. La prova dell’infezione verrà fornita da un banale prelievo ematico con dosaggio degli anticorpi. Quest’ultimo esame va però valutato con attenzione, poiché non sempre i valori sono diagnostici (possono essere assenti se il paziente ha assunto antibiotici oppure ha contratto la malattia da meno di un mese). Quindi storia di esposizione al morso di zecche + sintomi (soprattutto l’eritema) + anticorpi = diagnosi.

Terapia

La malattia di Lyme è assolutamente guaribile. La curabilità è maggiore nelle fasi iniziali di malattia ma la terapia va somministrata anche negli stadi più avanzati. Il trattamento prevede somministrazione di antibiotici specifici per 2-3 settimane.

Purtroppo, come altre malattie infettive, questa infezione non lascia un’immunità, pertanto ogni volta che si contrae l’infezione si ripresenta la malattia e va ripetuta la terapia. Per la malattia di Lyme non esiste attualmente in Italia un vaccino di comprovata efficacia.

Punture di zecche a caccia: che cosa fare?

  • Porre molta attenzione nel maneggiare carcasse di cervidi (ospiti preferiti dalle zecche).
  • Equipaggiarsi con indumenti che non favoriscano l’accesso delle zecche alla pelle (pantaloni rimboccati nelle calze, maglie a maniche lunghe).
  • Per le escursioni preferire abbigliamento chiaro che faccia risaltare le zecche sui vestiti; in ambito venatorio questa accortezza non è sempre attuabile.
  • Utilizzare repellenti su pelle e vestiti (applicare sulla pelle un repellente per insetti che contenga dietiltoluamide (DEET) e sugli indumenti un repellente per insetti contenente permetrina).
  • Al rientro spogliarsi in ambiente filtro e osservare attentamente indumenti e scarpe, poiché le zecche possono annidarsi a lungo e creare pericoli a distanza di tempo.
  • Dopo ogni uscita, ispezionare accuratamente la pelle di tutto il corpo, soprattutto le aree coperte da peli e il cuoio capelluto. Le zecche rilasciano il contenuto ematico potenzialmente infetto dopo 36 ore dal morso. Rimuovendo la zecca appena si è attaccata, si riduce quasi a zero il rischio di infezione.
  • Rimuovere la zecca immediatamente ma senza fretta, per non commettere errori. La zecca va rimossa con pinzette a punte sottili, agganciandola alla base del suo collo (punto di innesto nella cute) e non schiacciandola sulla pancia (potrebbe vomitare il sangue infetto), tirandola con movimento rotatorio e continuo. Rimuovere il rostro (testa) se resta incastrato sottopelle con un ago sterile. Disinfettare con sostanze non coloranti e osservare il punto del morso per i successivi 30-40 giorni.
  • Dopo la rimozione bruciare la zecca e disinfettare accuratamente la pinzetta e lavarsi accuratamente le mani.
  • Prendere nota del giorno in cui abbiamo rimosso la zecca e controllare la pelle per almeno un mese a seguire. Anche in assenza di eritema migrante considerare, in presenza dei sintomi generalizzati (macchie rosse, febbre e dolori articolari), la possibilità di eseguire un esame del sangue per verificare la presenza di anticorpi, possibile indice di infezione.

Punture di zecche a caccia: che cosa non fare?

  • Evitare (per quanto possibile, a caccia!) di transitare e sedersi su cespugli e aree frondose

Poi non

  • farsi prendere dal panico tirando via la zecca, strattonandola e schiacciandola;
  • tentare di affogare la zecca ricoprendola di alcol, olio, cera o altre sostanze. La zecca ha la testa conficcata nella pelle e non soffoca con queste sostanze. Viceversa, potremmo innescare un rigurgito con immissione di germi nel nostro corpo prima che lo faccia spontaneamente (in genere dopo un giorno e mezzo dal morso);
  • schiacciare con le dita la zecca rimossa;
  • disinfettare la parte con sostanze coloranti per non mascherare eventuali eritemi che potrebbero favorire la diagnosi di infezione;
  • assumere antibiotici di propria iniziativa: rischiano di mascherare la malattia senza però curarla efficacemente;
  • recarsi a donare sangue o emoderivati nella finestra di incubazione dopo il morso di una zecca (30-40 giorni dopo).
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