La cultura della caccia

la cultura della caccia: cacciatore sale montagna con cani
© Patrich Indries / shutterstock

La cultura della caccia non è fuori tempo, né fuori moda. E sarebbe utile darle una voce, un palcoscenico su cui recitare le ragioni della pratica venatoria, mettendo così in evidenza il patrimonio intellettuale di cui questa attività è portatrice.

La cultura della caccia non è fuori tempo, né fuori moda. Nelle fila del mondo venatorio però, la voce e la presenza dei cacciatori “normali”, quelli che cacciano semplicemente nel rispetto della legge e delle regole che l’esercizio di una caccia praticata correttamente impone, si percepisce meno. Ma sarebbe utile, invece, dargli un palcoscenico su cui recitare le ragioni e la bellezza della caccia, mettendo così in evidenza la cultura positiva di cui questa attività è portatrice.

Dati, osservazioni, monitoraggio, studi e ricerche. Siamo bombardati da nuove notizie sulla fauna selvatica, sull’etologia delle specie e sullo status delle popolazioni. Che siano dati solidi per arricchire realmente le attuali conoscenze o semplicemente ricerche amatoriali oppure specchietti per allodole che poco o nulla hanno a che fare con la rigorosa ricerca scientifica non è questa la sede per stabilirlo.

Cultura della caccia e il vero cacciatore

Ma in mezzo a questo battage di informazioni, che è oramai quasi una battaglia all’ultimo respiro tra tutti coloro che a vario titolo sono interessati alla fauna selvatica, ancora, stringi stringi, quello che anima maggiormente le discussioni tra cacciatori, in particolare sul web, è la querelle su chi sia il vero cacciatore.

Da una parte c’è chi giustifica in nome della passione la propria bramosia per un carniere sempre pieno (magari anche troppo), dall’altra chi pratica e difende la cosiddetta caccia sostenibile dove, prima dell’abbattimento, conta un comportamento definito etico. I primi accusano i secondi di trincerarsi nella loro inconsistenza venatoria sventolando la bandiera dell’etica. I secondi puntano il dito contro chi usa ancora termini come passione e tradizione per giustificare comportamenti che non appartengono più alla caccia moderna e alla cultura venatoria e ambientale del secondo millennio.

Nuovi schieramenti

Da un po’ di tempo, poi, si è formato un terzo schieramento, quello dei cacciatori scienziati senza se e senza ma, che ne sanno di più di zoologi, tecnologi, tecnici faunistici, ma che, leggendo quello che scrivono e proclamano, in tanti casi riesce difficile pensare che si siano applicati nella lettura di studi e ricerche che siano più lunghi di un post di Facebook, trovato a caso nel mare magnum della rete (senza peraltro capire se pubblicato da fonte attendibile). E questo gruppo va a braccetto con quello dei cacciatori difensori del territorio che però poi lasciano i bossoli a terra in barba alla legge e alla buona educazione ambientale. Solo per fare un esempio.

I tradizionalisti sono sempre in prima fila, niente tecnologia, niente orpelli, niente di niente, essenziali e immutati nel tempo (nel bene e nel male) e questi spesso sono in conflitto con i “cacciatori Rambo”, che nel bosco fanno sempre migliaia e migliaia di chilometri dietro alla coda dei loro super cani, sfidando ogni volta pericoli e traversie di ogni tipo, sovente attrezzati con ogni genere di tecnologia, perché cercare un uccello di 300 grammi (leggi la beccaccia) con il proprio ausiliare è per loro come dover affrontare la battaglia di Stalingrado.

Una presenza silenziosa

E in mezzo corrono, sottovoce, tutti quei cacciatori “normali” che cacciano semplicemente nel rispetto della legge e delle regole che l’esercizio di una caccia praticata correttamente impone. Purtroppo la loro voce e la loro presenza nelle fila del mondo venatorio si percepisce meno, ma sarebbe invece utile dargli un palcoscenico su cui recitare le ragioni caccia, mettendo in evidenza la cultura positiva di cui questa attività è portatrice. Cultura ambientale, faunistica, cinofila e anche sociale. Questo aiuterebbe non poco a non essere definitivamente additati dai nostri detrattori come una categoria di persone “fuori tempo”, destinata a scomparire.

Ma la caccia non è fuori tempo, né fuori moda, perché, se è vero che è baluardo di un prezioso bagaglio culturale e che il contributo dei cacciatori alla gestione faunistica e ambientale è importante, non dobbiamo consentire a un “manipolo di urlatori” di fissare l’immagine dei cacciatori in un quadro dipinto da un pessimo artista.

Ogni muro è una porta e le porte si possono sempre aprire. E le apriranno per tutti quei cacciatori che hanno consapevolezza che la caccia è molto di più che sparare a un selvatico e che essere bravi cacciatori non vuol dire soltanto sapere usare un fucile, ma significa soprattutto usare la testa e il cuore, e praticare la caccia in maniera rispettosa e con competenza e conoscenza. Perché la natura, ci ricorda Gary Snyder, non è un posto da visitare. È casa nostra.

Questo editoriale è stato pubblicato su Beccacce che Passione numero 1 2023. Non perdere le ultime notizie sulla caccia sul portale web di Caccia Magazine; e seguici anche sulla pagina Facebook di Beccacce che Passione.