Interazioni tra fauna selvatica e fauna domestica

Interazioni tra fauna selvatica e fauna: gatto con un passerotto in bocca
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Competizione alimentare, sovrapposizione spaziale, predazione, trasmissione di malattie, inquinamento genetico: le interazioni tra fauna selvatica e fauna domestica sono decisamente complesse.

Contrariamente a quanto spesso si crede, le interazioni tra fauna selvatica e fauna domestica sono particolarmente rilevanti. Molto spesso infatti la fauna domestica rappresenta un rilevante fattore di disturbo e d’impatto sulla fauna selvatica sia inferiore (uccelli, mammiferi di dimensioni ridotte) sia superiore (ungulati).

L’impatto si esercita in cinque modi: competizione alimentare, sovrapposizione spaziale, predazione, trasmissione di malattie, inquinamento genetico. L’interazione con la fauna selvatica avviene sia a causa di numerose attività umane che richiedono l’utilizzo della fauna domestica quali pastorizia, allevamento e attività venatoria (cane), sia per la presenza di animali domestici, come il cane e il gatto, non correttamente custoditi o randagi. Nelle situazioni in cui gli ungulati selvatici si trovano a condividere il territorio con le specie domestiche, possono subentrare interazioni di vario tipo.

La prima lotta

Se si parla di ruminanti, una delle maggiori implicazioni è rappresentata dalla competizione per la stessa nicchia ecologica entro cui due specie sono suscettibili di concorrere fra loro. Può verificarsi una sovrapposizione sia spaziale (frequentazione dello stesso territorio) sia alimentare, qualora le risorse di utilizzo comune per entrambi risultassero limitate. Da ciò risulta che i fenomeni competitivi sono influenzati anche dalle diverse abitudini alimentari delle specie che, in base alle loro preferenze e necessità e alle peculiarità anatomiche e fisiologiche del sistema digerente, effettuano scelte differenti durante il pascolamento.

La dieta della capra risulta molto simile a quella del capriolo (71,5%) e decisamente meno a quella del camoscio (23,3%), del cervo (18,1%) e dei bovini domestici. Sia la capra sia il capriolo prediligono infatti parti di piante semilegnose; di contro le altre specie, sia domestiche sia selvatiche, sono pascolatori.

Dal punto di vista alimentare pertanto soltanto il capriolo avrebbe problemi di interazione con la capra (entrambi brucatori); può però evitarla andando a utilizzare aree non accessibili al bestiame domestico. Il particolare comportamento alimentare della capra va comunque tenuto presente in relazione sia alla presenza del capriolo, qualora la sovrapposizione spaziale tra le due specie sia obbligata, sia al possibile forte impatto sulla vegetazione arborea e arbustiva. Essendo dei pascolatori, i bovini domestici esercitano invece un maggiore impatto nei confronti del cervo con il quale, nelle aree di pascolo brado, condividono lo stesso tipo di alimentazione.

capre al pascolo

La crisi della zootecnica di montagna ha conseguenze precise

Negli ultimi decenni nelle zone montane si è assistito a un diverso utilizzo del territorio. In particolare si è verificata una crisi della zootecnia di montagna con un progressivo abbandono dell’attività pastorale. Ciò ha determinato la diminuzione di utilizzo dei pascoli e il conseguente aumento della vegetazione arborea, a discapito delle aree agropastorali. Tuttavia localmente la monticazione degli ovicaprini continua a essere un’attività praticata, che si mantiene grazie a sussidi e contributi.

In alcuni alpeggi si assiste ad un aumento degli animali spesso però privi di controllo umano. Assieme a un notevole incremento delle popolazioni di ungulati domestici a vita libera, tutto questo ha aumentato le possibilità che ruminanti domestici e selvatici condividano i pascoli e che le diverse specie e gli animali e l’uomo interagiscano a livello sanitario.

Le malattie, tipiche interazioni tra fauna selvatica e fauna domestica

I fattori che facilitano la trasmissione di patologie dall’erbivoro domestico (in particolare capre e pecore) al selvatico sono molteplici. Sono rappresentati da: piccoli nuclei di animali senza custodia; permanenza degli animali domestici sul pascolo durante la stagione invernale; assenza di cure sanitarie (sverminazioni, disinfestazioni); trattamenti antielmintici (contro i vermi) e induzione di forme resistenti.

L’aumento della consistenza delle popolazioni di ungulati selvatici ha determinato l’insorgere di molte occasioni di contatto tra domestici e selvatici. Questi ultimi trovano infatti buone risorse alimentari dove i domestici pascolano, ma la maggiore qualità del foraggio dipende anche dalla fertilizzazione e quindi alla presenza di feci che possono contaminare i pascoli.

Le infezioni più importanti trasmesse dalla fauna domestica (capre e pecore) a quella selvatica e viceversa interessano soprattutto i bovidi. Sono rappresentate da cheratocongiuntivite (camoscio e stambecco), strongilosi broncopolmonare, causata da piccoli vermi che raggiungono bronchi e alveoli, strongilosi gastrointestinale. Gli agenti patogeni (vermi) si localizzano nell’abomaso del camoscio causando lesioni e forte mortalità, rogna sarcoptica, causata da un acaro parassita trasmesso molto spesso dalle capre domestiche, ed ectima contagioso, malattia virale tipica degli ovicaprini, che provoca lesioni crostose tipiche sul naso. Altre infezioni che possono interessare sia gli ungulati domestici e selvatici sono rappresentate da brucellosi, paratubercolosi, tubercolosi e leptospirosi.

Interazioni tra fauna selvatica e fauna domestica: le principali interferenze

In linea generale gli ungulati domestici interferiscono con quelli selvatici sia in modo diretto (alimentazione, calpestio, escrementi, disturbo) sia indiretto (cambiamenti della vegetazione). Nel loro complesso agiscono sulla disponibilità di risorse trofiche, siti di riproduzione e nascondigli. Un’alta densità di erbivori, sia domestici sia selvatici, tuttavia determina: riduzione della foresta e modifica forestale, con conseguente riduzione delle latifoglie e quindi diminuzione degli uccelli e dei pipistrelli; riduzione degli arbusti, con conseguente riduzione degli uccelli canori; aumento delle erbe basse con conseguente aumento degli uccelli e dei mammiferi; riduzione delle erbe alte, con conseguente riduzione degli insetti e quindi degli uccelli insettivori e dei tetraonidi.

Rispetto alle pecore, l’azione delle capre sugli arbusti risulta notevolmente maggiore. Proprio per questo le si utilizzano per pulire spazi dalla vegetazione nelle zone infestate da arbusti e favorire quindi la fauna, in particolare i tetraonidi. Ciò, in ragione degli impatti arrecati alle varie componenti animali, conferma comunque la necessità di attuare una non troppo intensa gestione dell’attività di pastorizia, soprattutto nelle zone di elevato valore naturalistico.

Laddove presenti in densità elevate, gli ungulati domestici interferiscono inoltre con l’attività trofica di diverse specie selvatiche che vivono in quota. Sono in particolare coinvolte quelle che covano sul terreno come il gallo cedrone, il gallo forcello, la coturnice e la starna (ma non solo). Durante la transumanza i greggi di pecore causano inoltre forte disturbo e mortalità della selvaggina stanziale di interesse venatorio, come la lepre, il fagiano e la starna. Infatti si muovono e sostano nelle zone spesso utilizzate dai cacciatori per la produzione di selvaggina (zone di ripopolamento e cattura).

capre al pascolo in ambiente montano

Interazioni tra fauna selvatica e fauna domestica: occhio ai cani

Anche i cani domestici, randagi e rinselvatichiti, costituiscono un pericolo per la fauna selvatica, a tal punto da aver contribuito all’estinzione di almeno una dozzina di specie di uccelli e di altri animali selvatici. Sono così diventati il terzo peggior predatore invasivo dopo gatti e topi. Recenti studi hanno evidenziato che proprio i cani attualmente rappresentano una minaccia per quasi 200 specie in tutto il mondo, alcune delle quali sul punto di estinzione: ciononostante il loro impatto non viene preso in considerazione dalle associazioni ambientaliste, al pari di quello arrecato dal gatto.

Nel mondo vive circa un miliardo di cani domestici, sia liberi sia interamente dipendenti dall’uomo. Il numero di quelli randagi purtroppo è sconosciuto e comunque in aumento al pari della crescita della popolazione umane. Delle circa 200 specie minacciate dai cani rinselvatichiti e randagi, almeno 30 sono a rischio estinzione e sono inserite nella lista rossa Iucn; 71 specie sono in via di estinzione, 87 sono vulnerabili. Quasi la metà di queste duecento specie sono uccelli (78), seguite dai rettili (22) e dagli anfibi (13): le zone maggiormente colpite sono Asia, America centrale e meridionale e Oceania.

cane randagio per strada
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Cinque modi per colpire

L’impatto arrecato dai cani avviene in cinque modi diversi: predazione e uccisione degli animali selvatici; disturbo; trasmissione di malattie alla fauna selvatica; competizione per le prede; incrocio con altre specie con le quali sono strettamente imparentati, come il lupo. In Polonia sono stati fotografati cani randagi entrare nelle tane delle linci, dove tengono le prede uccise, e mangiare le carcasse; in Nuova Zelanda sono stati immortalati cani selvatici che inseguivano e uccidevano specie in via di estinzione. Addirittura in Tibet tre cani braccavano un leopardo delle nevi, specie estremamente rara e in via di estinzione.

In diversi Paesi la soluzione adottata è sparare ai cani rinselvatichiti e randagi, anche se in quasi tutta l’Europa occidentale questa pratica risulta vietata. La chiave per affrontare in modo efficace e sostenibile i conflitti con il mondo animalista, fermamente contrario all’abbattimento dei cani randagi, è ridurre gradualmente la popolazione canina attraverso programmi di gestione cinofila umana: sterilizzazione e castrazione dei cani possono limitare i numeri complessivi, la vaccinazione di massa serve a garantire che la popolazione sia sana e libera da malattie.

Una macchina da guerra

Ancor più del cane, il gatto esercita un grande impatto sulla fauna selvatica di dimensioni minori, anche sulla selvaggina stanziale di interesse venatorio. Il gatto domestico è un predatore introdotto dall’uomo ormai in ogni angolo del pianeta; attualmente è considerato tra le 100 specie invasive più impattanti al mondo, più del cane. Il gatto, in quanto felino, ha caratteristiche anatomiche tali da renderlo una vera e propria macchina da guerra.

Si stima che ogni esemplare non custodito sia in grado di uccidere fino a 200 mammiferi all’anno, rappresentati per il 75-100% da topi, toporagni, arvicole, scoiattoli e conigli selvatici. Il gatto, sia custodito sia libero, preda animali selvatici secondo una quantità stimata mediamente in 16-17 tra uccelli (circa quattro), mammiferi, rettili e anfibi all’anno. Se si considera che in Italia sono censiti 7.500.000 gatti (in continuo aumento, come nel resto del mondo, a partire dagli anni Settanta-Ottanta) si fa presto a capire quanto elevato sia l’impatto (circa 110 milioni di animali, rappresentati per la gran parte da micromammiferi e uccelli), maggiore addirittura di quello dei cacciatori.

I numeri non mentono

Anche i gatti, come i cani randagi e rinselvatichiti, hanno portato all’estinzione un numero importante di specie, almeno 33 tra uccelli, mammiferi e rettili. Si stima che negli Stati Uniti i gatti domestici uccidano in media da 1,3 a 4 miliardi di uccelli con un valore medio di 2,4 miliardi (il 69% è ascrivibile a gatti senza proprietario) e da 6,3 a 22,3 miliardi (mediana = 12,3 miliardi) di mammiferi l’anno (l’89% è ascrivibile a gatti senza proprietario).

Lo studio principale per determinare l’effetto del gatto sugli animali selvatici è stato realizzato in Inghilterra nel 2003. Fra gli uccelli, le principali vittime sono cinque specie (passero, merlo, cinciarella, storno e pettirosso). Seguono in ordine decrescente tordo, colombaccio, scricciolo, cardellino, gazza, ballerina bianca, fagiano, balestruccio, gallinella d’acqua, zigolo giallo, pispola, lucherino, starna, taccola, cincia mora, rondone, cornacchia, ciuffolotto, rampichino, allodola, pigliamosche, corvo, cutrettola, picchio rosso maggiore e verde, gabbiano reale, picchio muratore, regolo, ghiandaia.

Cinque caratteristiche letali

Al pari dell’uomo, il gatto domestico può sfruttare alcune caratteristiche vincenti:

  • non è interessato dalla mortalità naturale dovuta a malattie, in quanto protetto da vaccini e da continua assistenza medica avanzata;
  • rispetto alla fauna selvatica, non lotta per l’accesso alle fonti alimentari. Se sfrutta troppo le prede, un predatore è condannato a diminuire numericamente, mentre il gatto fa affidamento su un continuo approvvigionamento di cibo artificiale;
  • a differenza di tutti i predatori, i gatti hanno perduto il condizionamento della territorialità: il gatto domestico è spesso gregario e non difende il territorio. Tutto ciò rende possibile raggiungere densità pari a 44 gatti domestici per chilometro quadrato (100 ettari), densità elevatissime e non sostenibili dall’ambiente e dalla fauna selvatica se si considera il grandissimo numero di animali circolanti. Tra tutti i predatori selvatici, come la faina, la donnola, la volpe e la martora, il gatto è quindi quello di gran lunga più abbondante;
  • il gatto domestico, a differenza di quello selvatico, caccia di giorno e di notte a conferma della fortissima pressione esercitata sulla fauna selvatica.

Bibliografia e sitografia

  • Mattiello S. et al. (2007), Interazioni spaziali e alimentari tra capre ed altri erbivori nelle Alpi centrali, Quaderno Sozooalp 4.
  • www.komitee.de

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