Le conseguenze dell’inquinamento acustico sulla fauna selvatica

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L’inquinamento acustico causato dall’uomo ormai pervade ogni ambiente con conseguenze negative per gli animali. Lo dimostrano gli studi.

Settembre, censimento al bramito a San Giovanni di Sopra, nel cuore del Parco regionale di Monte Sole, nel primo Appennino bolognese, sopra Marzabotto. È sera e decine di volontari si preparano a passare tre ore a rilevare i bramiti emessi dai cervi maschi adulti al culmine degli amori. Il conteggio dei maschi in bramito e le sessioni di avvistamento consentiranno di stimare la consistenza numerica complessiva. Fortunatamente non c’è vento, il cielo è limpido e stellato.

L’ascolto dei cervi si rivela tutt’altro che facile, per il disturbo prodotto dal costante rumore di fondo proveniente dall’autostrada del Sole. Se ci trasferiamo sul versante toscano dell’Appennino, vicino alla stazione forestale dell’Acquerino, altri volontari eseguono lo stesso tipo di censimento; l’ambiente è ancora più suggestivo per la grande estensione della foresta demaniale, ma l’ascolto dei bramiti non è più facile. Sui cieli passa uno dei corridoi aerei più importanti della penisola e a intervalli abbastanza ravvicinati si sente il rumore dei motori di un aereo. Se quindi pensavamo di immergerci nella natura e di provare non solo la suggestione dei bramiti, ma anche il fascino dei momenti di silenzio, ci sbagliavamo.

Inquinamento acustico: difficile comunicare

Naturalmente i rumori costanti dell’autostrada o intermittenti degli aerei rappresentano una diretta interferenza sull’attività vocale dei cervi. Quel concerto di bramiti emessi dai cervi adulti non è un coro festante per abbellire il culmine degli amori, ma una strategia collettiva di comunicazione: serve ai maschi per riconoscersi, studiare le forze dei vicini e potenziali avversari, nonché un sistema per attrarre le femmine; qualsiasi disturbo rischia di ostacolare questa delicata comunicazione in uno dei momenti più importanti dell’anno. In realtà siamo di fronte a un fenomeno molto più vasto e con ricadute molto ampie, a un vero e proprio inquinamento acustico con conseguenze significative sugli animali.

Se restiamo sul fronte della comunicazione, è interessante scoprire come l’inquinamento acustico interferisca con il linguaggio degli uccelli canori. L’usignolo, per avvertire della propria presenza in ambienti con rumori di origine umana, è costretto ad alzare il volume del proprio canto. La cinciallegra, il luì piccolo, il fringuello e il merlo cambiano il loro canto normale utilizzando suoni più acuti per farsi sentire dai conspecifici. La femmina di cinciallegra in periodo riproduttivo preferirebbe ascoltare dal maschio canti con suoni bassi, ma le frequenze basse (particolarmente adatte a diffondersi in ambienti boscati) vengono fortemente disturbate dai suoni di fondo di origine umana; di qui la necessità per il maschio di virare verso frequenze più acute anche se meno invitanti.

L’effetto mascheratura acustica

In un uccello americano, il tordo acquaiolo fornaio (Seiurus atricapilla), i maschi sono incapaci di modificare il proprio canto d’amore a basse frequenze e quindi negli ambienti industriali canadesi rumorosi la formazione delle coppie fallisce spesso; le femmine, infatti, non riescono a percepire il canto troppo debole per diffondersi a distanza o lo sentono distorto e poco allettante. Il maschio della cinciallegra può talvolta reagire all’inquinamento acustico fondo emettendo canti più semplificati, ripetitivi, dato che l’inquinamento acustico ostacola l’ascolto di canti più elaborati e complessi da parte delle femmine.

Gli scienziati parlano di “effetto di mascheratura acustica” per la copertura e la distorsione operate dai rumori di fondo sui versi degli animali. Canti alterati in risposta al rumore causato dall’uomo possono avere dei costi, sia in termini di spese energetiche (maggiori consumi legati, per esempio, a un maggiore volume di emissione), sia in termini di minore attrattiva (canti meno in grado di attirare un partner, con rischio quindi di minore successo riproduttivo). Nella cinciallegra canti compressi e più acuti da parte del maschio possono spingere la femmina a essere infedele e a spostarsi alla ricerca di un nuovo partner.

Effetto Covid

La drastica riduzione del traffico veicolare e aereo nell’area della baia di San Francisco, in California, a causa della chiusura di molte attività e del confinamento per il Covid-19 ha permesso di fare una scoperta: i maschi di passero dalla corona bianca (Zonotrichia leucophrys), in assenza del costante forte disturbo dei rumori causati dall’uomo, sono tornati nella primavera 2020 a emettere canti a volume meno potente che comprendono anche note basse. Trilli identici a quelli prodotti cinquant’anni fa, più efficaci nell’allontanare i rivali e nell’attrarre le femmine, più assertivi e nello stesso tempo più seducenti.

Dove i rumori causati dall’uomo non sono continui ma fluttuanti, l’attività canora degli uccelli si sposta nei momenti della giornata meno disturbati; in città cinciarella e pettirosso anticipano i cori all’alba prima del risveglio della popolazione umana.

Maggiore sensazione di pericolo

I rumori ambientali possono non solo interferire con la percezione dei conspecifici, ma anche ostacolare l’individuazione dei predatori. In animali oggetto di potenziale predazione in ambienti rumorosi aumenta il tempo dedicato alla vigilanza, che si tratti di un passero o di un cervo. Più tempo all’erta significa spesso meno tempo per comunicare con gli altri conspecifici e per nutrirsi. Con conseguenze negative nei rapporti sociali e nelle condizioni fisiche.

Nei passeri e nelle cince il rumore finisce per diminuire il tempo dedicato dai genitori alle cure nei confronti della nidiata. Molti animali sociali per vivere insieme hanno bisogno di restare in contatto acustico continuo, ma in presenza di rumori di fondo rischiano di non sentire i compagni di gruppo. O di non capire correttamente i segnali; di qui un possibile aumento dell’insicurezza e dell’aggressività e una maggiore conflittualità.

L’aumento della sensazione di pericolo dovuta al rumore si traduce in stress e lo stress cronico si può tradurre in una diminuzione della risposta del sistema immunitario, in minore successo riproduttivo, minore accrescimento corporeo, invecchiamento precoce.

Lo stress causato dall’inquinamento acustico

Nelle fasce verdi ai lati delle strade e soprattutto delle autostrade il numero di specie di uccelli e il numero di coppie nidificanti per specie sono inferiori a quelli di aree confinanti non attraversate da strutture viarie; e questo non solo per l’inquinamento chimico o il rischio di collisioni, ma anche per il forte disturbo prodotto dal rumore ininterrotto. Le coppie di cinciallegre che nidificano nelle vicinanze di un’autostrada olandese tendono a produrre un numero minore di uova e registrano una maggiore mortalità tra i nidiacei rispetto alle coppie che abitano più lontano; gli animali si rarefanno non solo perché parte di loro non sopporta il rumore, ma anche perché la parte resistente tende progressivamente a diminuire per minore produttività.

L’analisi dei metaboliti del cortisolo nelle feci degli animali consente di provare lo stato di stress. Nei caprioli di un Parco nazionale spagnolo la presenza di strade anche a volume di traffico non elevato e il rumore collegato sono associati a situazioni di stress; gli animali non riescono ad assuefarsi al ripetersi dei passaggi di veicoli e mostrano nervosismo e paura ogni volta che devono avvicinarsi alle strade. È interessante che il capriolo in area protetta sia così fortemente disturbato dal rumore del traffico. Eppure esemplari di questa specie premono alle porte delle nostre chiassose città, come se fossero attratti dal verde delle nostre periferie urbane; in realtà sono anch’essi verosimilmente in stress, spinti soltanto dal sistema territoriale che porta gli animali a spaziarsi disperdendosi verso aree nuove.

Cortisolo e battiti cardiaci

Nei wapiti di Yellowstone in inverno la quantità di cortisolo nelle fatte è proporzionale all’intensità del traffico di motoslitte sulla neve. Capre delle nevi, bighorn e antilocapre seguite con radiocollari in grado di registrare i battiti cardiaci sono stressati dal rumore del traffico veicolare. In Alaska le femmine di caribù della tundra in aree di esercitazione a bassa quota di aerei militari aumentarono sensibilmente la propria attività e mobilità; nel periodo successivo ai parti questo comporta un rischio di consumi energetici eccessivi. Di qui la raccomandazione dei ricercatori all’aviazione militare di evitare almeno di sorvolare le aree tradizionali delle nascite dei caribù.

Anche i predatori possono essere ostacolati dall’inquinamento acustico. Specie come il barbagianni, l’albanella o i pipistrelli che si servono più dell’udito che della vista per individuare la propria preda; così rischiano di avere successi di cattura molto bassi e devono assolutamente spostarsi cercando aree più tranquille. Anche uccelli migratori in volo notturno possono essere sviati da rumori di origine umana.

Alla ricerca quasi illusoria del silenzio

L’esperienza vissuta in due località dell’Appennino in una serata di settembre ci ricorda che l’uomo ha finito per interferire con la tranquillità anche di aree protette o isolate; di polmoni verdi che ci immaginavamo isole felici quasi incontaminate. In realtà non si salvano neppure le cime delle montagne, dove gli elicotteri vengono usati per portare turisti o sciatori fuori pista. Tra lo sconcerto di camosci e stambecchi. Questo ci rammenta uno studio recente svolto negli Stati Uniti, che documenta come anche nelle aree protette più vaste d’America la ricerca di spazi pieni di suoni esclusivamente naturali sta purtroppo diventando sempre più difficile.

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