Focus sul fagiano

Focus sul fagiano

Se sostenuto da controllo della predazione, foraggiamento e miglioramenti ambientali, il fagiano ha prestazioni riproduttive capaci di sostenere un proporzionato prelievo venatorio.

Una volta liberate nell’ambiente naturale, le fagiane allevate in cattività sono capaci di portare a termine una covata con successo? Le immissioni di fagiani allevati in cattività sono in grado di incrementare una popolazione di questa specie? Il foraggiamento invernale e primaverile dei fagiani è davvero utile? In che misura il contenimento di volpi e corvidi è in grado di tutelare la riproduzione naturale della piccola selvaggina stanziale? I miglioramenti ambientali servono a qualcosa? Questi sono alcuni degli interrogativi che si pongono a nostri giorni coloro che hanno ancora a cuore la gestione faunistica e venatoria del territorio.

Ebbene, tutti questi aspetti sono oggetto di uno specifico studio condotto in Inghilterra dal prestigioso Game & Wildlife Conservation Trust, la cui caratteristica distintiva è quella di utilizzare, fin dal lontano 1931, la scienza per migliorare la gestione della selvaggina e della caccia.

Questo studio, iniziato nel 1992, vale a dire ben 31 anni orsono, viene condotto nella tenuta agricola di Loddington, nell’Inghilterra centrale. Ad esso è stato dato il nome di Allerton Project (Progetto Allerton), in onore della famiglia che ha devoluto questa azienda agricola, di circa 300 ettari (di cui 253 ettari di coltivi, 18 ettari di bosco e 29 ettari di pascoli), a esclusivo beneficio della ricerca scientifica in favore della conservazione dell’ambiente agricolo e della fauna selvatica, in particolare della piccola selvaggina stanziale: fagiano, lepre, starna e pernice rossa.

Un progetto in tre fasi

Il Progetto Allerton è stato suddiviso in tre fasi. Nella prima fase, il piccolo patrimonio di fagiani, lepri, starne e pernici rosse, presente naturalmente nella tenuta nel 1992, è stato gestito per nove anni, cioè fino al 2001, esclusivamente tramite miglioramenti ambientali per favorire la nidificazione e con il foraggiamento invernale e primaverile a favore della selvaggina alata.

Queste due misure sono state accompagnate dal controllo di alcuni predatori, in particolare volpi e corvidi, ma anche ratti. In queste medesimi anni è stata praticata, a carico di queste popolazioni selvatiche, una caccia dimensionata sui risultati dei censimenti post riproduttivi dei galliformi e delle lepri. In altri termini, durante la prima fase del progetto non è stato immesso alcun soggetto allevato in cattività.

Nella seconda fase, durata dal 2002 al 2010, è stato cessato il contenimento dei predatori e, a partire dal 2006-2007, anche il foraggiamento. Sono stati tuttavia mantenuti i miglioramenti ambientali. Inoltre, in questi secondi nove anni, non fu svolta alcuna attività venatoria.

Nella terza fase, tuttora in atto, a partire dal 2011, fermo restando il mantenimento dei miglioramenti ambientali, sono stati ripresi il controllo dei predatori, il foraggiamento e la caccia. Ma in questo caso, si è proceduto ogni anno all’immissione estiva, previo ambientamento in idonei recinti, di consistenti quantità di giovani fagiani allevati in cattività.

Il caso del fagiano

Nel caso dei fagiani, i risultati ottenuti durante la prima fase, quella cioè fondata sullo sviluppo delle popolazioni selvatiche preesistenti tramite miglioramento ambientale, foraggiamento, controllo della predazione e caccia, furono davvero sbalorditivi. La popolazione dei fagiani, tra il 1992 e il 2001, aumentò, infatti, di ben cinque volte: la densità da poco meno di 40 animali per 100 ettari arrivò a sfiorare i 200 fagiani per 100 ettari. Ma, a ben guardare, il dato più eclatante di questo incremento fu il valore raggiunto dalla riproduzione naturale, che passò dai circa 50 fagianotti nati nel 1992 ai quasi 400 nati nel 2001.

A partire dal 2002, in seguito all’interruzione del controllo dei predatori, pur rimanendo inalterato il miglioramento ambientale, la popolazione dei fagiani declinò paurosamente, fino a raggiungere livelli addirittura inferiori a quelli iniziali del 1992. Successivamente, con la cessazione anche del foraggiamento, la popolazione precipitò a livelli addirittura infimi. Nel 2008 non venne addirittura registrata la nascita di alcun fagianotto.

Azioni interconnesse

In modo incontrovertibile, questa seconda fase ha dimostrato come il mantenimento di eccellenti ambienti di nidificazione, in assenza di un efficiente contenimento dei predatori e di un puntuale foraggiamento invernale e primaverile, sia del tutto incapace di mantenere una pur minima popolazione di fagiani. Non solo, ma essendo diminuiti in misura più rilevante le fagiane ed i fagianotti, è emerso con chiarezza come sia soprattutto la predazione a giocare un ruolo decisivo nel limitare una popolazione di fagiani.

Paradossalmente, prima della cessazione del foraggiamento, nonostante la forte diminuzione dei fagiani, il consumo delle granaglie fornite dalle mangiatoie risultò raddoppiato. Sorse allora l’esigenza di chiarire chi fossero in realtà gli animali che beneficiavano del foraggiamento. Fu ritenuto possibile che i responsabili potessero essere i ratti e le cornacchie, in forte aumento dopo la cessazione del loro controllo.

Così, utilizzando delle telecamere, risultò come le mangiatoie costituissero un’importante fonte di cibo per gli uccellini, in grado di nutrirsi sia direttamente dal beccuccio della mangiatoia sia tramite i grani versati sul terreno sottostante. Tuttavia, fu confermato come le mangiatoie fossero utilizzate anche da ratti, scoiattoli e corvidi.

Un progetto ancora in atto

Nel 2011 ha avuto inizio la terza fase, basata su ripopolamenti con soggetti allevati in cattività e sulla ripresa sia del controllo dei predatori sia dal foraggiamento invernale e primaverile. Nel 2012, per supportare le esigenze venatorie, dopo aver ampliato l’area cacciabile a circa 450 ettari, vennero immessi 3.400 giovani fagiani (pari a una densità di 756 fagiani ogni 100 ettari), ambientati in cinque diversi recinti.

Nei successivi nove anni, fino al 2019, e poi fino al 2022, la gestione faunistica e venatoria non è più cambiata. I risultati conseguiti dal nuovo modello di gestione sono stati ritenuti soddisfacenti dal punto di vista venatorio, ma assai deludenti sotto il profilo faunistico.

A dispetto delle consistenti immissioni (ancora 3.400 fagiani nel 2013 e nel 2014; 2.500 nel 2017; 2.600 nel 2022), del controllo dei predatori, del foraggiamento in inverno e primavera e dei miglioramenti ambientali (comprese alcuni appezzamenti di mais a perdere), la popolazione dei fagiani è rimasta sempre a livelli minimi.

Senza contare che la popolazione, oltre a mantenere dimensioni incomparabilmente inferiori a quelle raggiunte negli anni della gestione naturale, ha prodotto annualmente un numero di fagianotti insignificante, se non addirittura nullo, così come avvenuto nel 2015.

Amara scoperta

Nel 2017 le colture di mais per i fagiani furono rimosse e i terreni di copertura per la caccia furono sostituiti con miscugli di erbe e cereali gestite a rotazione. Nonostante ciò, al termine dell’estate furono contati solo 20 fagianotti. A questo punto, nel 2018, nel tentativo di comprendere le cause di queste miserevoli prestazioni riproduttive, fu intrapreso uno specifico studio basato sul monitoraggio di 33 fagiane dotate di radiocollari Gps.

La scoperta fu amara: pochissimi tentativi di nidificazione da parte delle fagiane, morte tutte, tranne una, entro l’inizio di giugno. In due femmine trovate morte fu identificata la presenza di coronavirus, un fattore indubbiamente capace di contribuire al mancato successo della nidificazione. Fu allora deciso di proseguire lo studio anche nel 2019, soprattutto per cercare di comprendere meglio il rapporto tra riproduzione, malattie e predazione.

Nel 2019, furono radiocollarate 44 fagiane ai primi di marzo. La metà di queste femmine morì prima dell’inizio della stagione di nidificazione e comunque tutti i nidi fallirono: tre risultano essere stati predati da tassi, uno da volpe e uno da un piccolo mammifero.

L’impatto della predazione

La maggior parte di questi eventi predatori furono attribuiti a mammiferi. Le fagiane rinvenute morte presentarono segni di malattie provocate da virus e parassiti intestinali. Sia come causa diretta di mortalità sia come fattore capace di facilitare la predazione, queste malattie furono ritenute responsabili della mancata riproduzione delle fagiane. Inoltre, essendo state seguite anche di notte, un terzo delle fagiane risultò dormire sul terreno e due terzi su arbusti e alberi.

Gli studiosi che hanno condotto questa ricerca ritengono, come registrato dalle telecamere, che i predatori trovino i nidi non solo durante l’incubazione, ma anche durante la deposizione delle uova. Prima della nidificazione, le fagiane predate di notte risultarono avere dormito in terra. In seguito ai risultati di queste ricerche viene ritenuto che le malattie e le cattive condizioni fisiche siano i maggiori fattori che favoriscono la predazione delle fagiane. Tra l’altro, poche tra quelle morte furono rinvenute intere, essendo state presumibilmente consumate prima.

Due dati di fatto

In conclusione, il Progetto Allerton dimostra, in modo davvero eloquente, due dati di fatto. Il primo: i fagiani selvatici, nel caso siano adeguatamente sostenuti tramite un efficace controllo della predazione, un puntuale foraggiamento invernale e primaverile e qualche mirato miglioramento ambientale, hanno delle prestazioni riproduttive molto elevate, capaci di sostenere un proporzionato prelievo venatorio. Il secondo: le immissioni di fagiani allevati in cattività non consentono alcun reale incremento della consistenza delle popolazioni a causa dello scarso successo riproduttivo delle fagiane falcidiate dalle malattie e dalla predazione.

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