Il Consiglio di Stato ha stabilito che, in assenza di accordi, la rappresentanza dei cacciatori nei comitati di gestione degli Atc deve rispecchiare il peso proporzionale delle associazioni venatorie.
È «del tutto irragionevole» ritenere che un’associazione venatoria «che vanta un numero di [cacciatori] iscritti enormemente superiore» debba trovare rappresentanza uguale alle altre; in questo modo infatti «il concetto di rappresentatività risulterebbe completamente svilito al punto da divenire inesistente»: con questa motivazione il Consiglio di Stato (sentenza 7024/25) ha accolto il controricorso della Città metropolitana di Reggio Calabria e, confermando quanto già detto lo scorso gennaio in sede cautelare, ribaltato la decisione del Tar, che su impulso dell’Arcicaccia e dell’Annu migratoristi aveva stabilito che nei comitati di gestione dei due Atc provinciali le diverse sigle avrebbero dovuto avere lo stesso peso.
Fare parti uguali tra diversi è un’ingiustizia: «assicurare la presenza di un [solo] membro» scrive il Consiglio di Stato «a un’associazione», la Federcaccia, «che negli Atc di riferimento ha oltre il 70% (Rc1) e oltre il 60% (Rc2) di [iscritti]», uno «come le altre cinque associazioni» (sei infatti i posti a disposizione) che talvolta rappresentano meno del 10% dei cacciatori del territorio, lede «il concetto di rappresentatività richiesto dalla legge».
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