Carni di selvaggina: Fondazione Una dà il via alla filiera

carni di selvaggina

Carni di selvaggina e filiera certificata: Fondazione Una ha presentato ieri a Bergamo il Manifesto delle carni selvatiche nella ristorazione. Dieci ristoratori e due macellatori selezionati hanno sottoscritto i punti del decalogo.

La valorizzazione delle carni di selvaggina e la realizzazione di una filiera riconosciuta e sostenibile per portare dal bosco alla tavola la pregiata carne dei selvatici sono stati gli obiettivi perfettamente raggiunti da Fondazione Una. Un percorso non breve, ma concreto, che vede oggi la provincia di Bergamo capofila di un importante progetto, Selvatici e buoni: una filiera alimentare da valorizzare, nato con lo scopo di creare una filiera certificata delle carni selvatiche degli ungulati e che per la prima volta si realizza sul territorio bergamasco.

La valorizzazione delle carni di selvaggina

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Il tavolo dei relatori. Da sinistra: Roberto Viganò (Studio AlpVet), Silvio Barbero (vice presidente Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo), Antonio Sorice (presidente SiMeVeP e ATS Bergamo), Maurizio Zipponi (presidente Fondazione Una); al tavolo anche Luca Pelliccioli (referente territoriale del progetto Selvatici e Buoni) e Paolo Lanfranchi (Università degli Studi di Milano – Dipartimento di Medicina Veterinaria)

Così ieri, nel corso della conferenza svoltasi presso lo Spazio Viterbi del Palazzo della Provincia di Bergamo, con il patrocinio della stessa Provincia e dell’ATS Bergamo, dieci ristoratori del territorio hanno sottoscritto i principi chiave che mirano alla valorizzazione della scelta sana e sostenibile delle carni di selvaggina.

Hanno quindi condiviso ufficialmente, davanti a una partecipata platea, il Manifesto delle carni selvatiche nella ristorazione, redatto dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, capofila scientifico del progetto con il supporto della Condotta Slowfood Valli Orobiche. Insieme a loro anche due macellatori, altro anello fondamentale, insieme ai 127 cacciatori formati, della filiera, che allo stesso modo si sono impegnati a rispettare il decalogo.

Dal 2017 a oggi: gli step del progetto

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Maurizio Zipponi (a sinistra) e Luca Pelliccioli

Il percorso di Selvatici e buoni ha avuto inizio nel territorio bergamasco nel settembre 2017. E in tre anni si è lavorato attivamente sul territorio – ha ricordato Luca Pellicioli, referente territoriale del progetto, durante il suo incisivo intervento – per lo sviluppo di percorsi formativi per fornire ai cacciatori tutte le informazioni tecniche e operative in merito al corretto trattamento della carcassa di grossa selvaggina prelevata durante l’attività venatoria.

Si sono svolti due workshop formativi dedicati ai ristoratori sulle modalità di preparazione delle pietanze a base di carni di selvaggina e sulle caratteristiche organolettiche delle stesse. Inoltre, sono state anche organizzate a Bergamo, in Val Seriana e in Val di Scalve tre rassegne enogastronomiche.

Sono stati raccolti ed elaborati dati biometrici ed eseguite analisi sanitarie per verificare la qualità delle carni. Infine, è stata svolta un’indagine tra alcuni consumatori abituali di carne per capire come è “percepita” quella di selvaggina quale alternativa alla carne bovina.

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La vetrofania che esporranno i “ristoratori certificati”

Con Selvatici e Buoni abbiamo voluto dare un segnale di svolta sviluppando una filiera tracciata della selvaggina, valorizzando gli aspetti di sicurezza alimentare, tutela del patrimonio faunistico e rispetto dell’ambiente che stanno a cuore a Fondazione Una” ha commentato Maurizio Zipponi, presidente di Una – Uomo Natura e Ambiente. “Il territorio di Bergamo ha fatto da pioniere; abbiamo infatti siglato un protocollo d’intesa con la Regione Lombardia per esportare il modello in altre province lombarde. E Selvatici e Buoni ha certamente dato nuovo impulso al turismo enogastronomico locale, dando ai ristoratori la possibilità di differenziarsi attraverso l’apposizione di una specifica vetrofania legata all’adesione al progetto”.

Coinvolte anche le associazioni venatorie

Presenti in sala e coinvolti a vario titolo nel progetto anche diversi rappresentanti locali del mondo venatorio (tra questi Michele Bornaghi, presidente Federcaccia Bergamo, e Lorenzo Bertacchi, presidente Federcaccia Lombardia), delle istituzioni, della filiera alimentare e della ristorazione tra cui Pietro Bergamelli, comandante Polizia provinciale Bergamo, Oscar Fusini, direttore Ascom Bergamo, Silvio Magni, fiduciario Condotta Slowfood Valli Orobiche e Maurizio Forchini di Promoserio.

I dieci ristoratori e i due macellatori della filiera certificata

Sulla base della sottoscrizione del Manifesto delle carni selvatiche nella ristorazione, il comitato scientifico di Selvatici e Buoni ha scelto di assegnare la vetrofania biennale a dieci ristoranti della provincia: Ristorante Chalet Engadina (Vilminore di Scalve); Osteria Bastioli (Vilminore di Scalve); Ristorante Peccati di Gola (Vilminore di Scalve); Locanda Blum In (Rovetta); Trattoria enogastronomica Selva di Gelso (Clusone); RistOrobie (Cusio); Osteria al Gigianca (Bergamo); Noi restaurant (Bergamo); Hosteria del vapore (Chiuduno); Puro cibo e vino (Ranica).

Tale riconoscimento permetterà di distinguere i ristoratori del territorio bergamasco in materia di competenze nella gestione delle carni selvatiche. L’operato dei ristoratori sarà, inoltre, supervisionato da Fondazione Una e dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e sarà coordinato a livello locale dalla Condotta Slowfood Valli Orobiche.

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Fabio Magri, titolare della Macelleria Magri Bruno di Chiuduno

La filiera delle carni di selvaggina non potrebbe esistere senza l’adesione dei macellatori. E sono due gli anelli della catena nel territorio bergamasco: Macelleria Fratelli Serpellini di Sovere e Macelleria Magri Bruno, di Fabio Magri, di Chiuduno.

Perseguiamo l’innovazione con uno sguardo al passato, recuperando uno stretto legame con la nostra terra, con la nostra gente e con la nostra cultura rurale che è un patrimonio prezioso” ha commentato Fabio Magri al momento della sottoscrizione del Manifesto. “Credo fortemente in questo progetto cui ho aderito con entusiasmo e anche se vi sono alcuni aspetti ancora da perfezionare, soprattutto dal punto di vista normativo, per me è un’occasione da non perdere per la valorizzazione culturale, economica e sociale del nostro meraviglioso territorio”.