Caccia alla lepre: l’accostamento

Caccia alla lepre accostamento
Puccio di Pontenizza • © Emanuele Nava

Nella caccia alla lepre riflessione ed equilibrio sono i requisiti principali: quali sono allora gli errori da evitare nella fase d’accostamento?

Il metodo classico per la caccia alla lepre prevede l’espletamento di quattro fasi. Talvolta vengono considerate come un esercizio di stile cinofilo e quindi ritenute assai lontane dal pragmatismo venatorio di chi a caccia mette al primo posto il risultato, inteso in termini di carniere. Ciò però non corrisponde esattamente alla realtà dei fatti. A caccia, è inutile negarlo, non sempre avremo l’opportunità di assistere ad azioni da manuale e questo per tutta una serie di fattori di cui solo una parte è attribuibile alle scelte del canettiere.

Questa premessa non basta tuttavia per confutare la mia convinzione in base alla quale il metodo classico sintetizza quello che risulta in ogni caso uno schema efficace per reperire gli indizi lasciati sul terreno da un animale dalle abitudini prettamente notturne, ripercorrerne il peregrinare notturno fino al covo, metterlo in movimento e condurlo al tiro utile della posta. Di questo schema classico l’accostamento, cioè l’avvicinamento al covo ripercorrendo più o meno fedelmente la passata notturna della lepre, rappresenta la seconda fase dopo la cerca e prima di scovo e seguita.

L’accostamento nella caccia alla lepre: inizio e fine della fase

Possiamo dibattere sul momento in cui si può considerare che l’accostamento abbia idealmente inizio. Teoricamente, data la concatenazione delle quattro fasi, l’accostamento dovrebbe prendere avvio al termine della fase di cerca. Tuttavia, se la cerca porta il segugio all’incontro con una pastura, l’accostamento in senso stretto può prendere forma solo al termine di una fase di mezzo. Mi riferisco a quel frangente in cui il segugio, dopo aver esplorato il pascolo, trova l’uscita per mettersi finalmente sulla passata. Ciò si concretizza solitamente dopo che il cane ha manifestato l’incontro, normalmente dapprima con movimenti energici della coda e poi anche con scagni via via più sicuri.

Sulla conclusione non possono esserci dubbi. L’accostamento si può considerare indiscutibilmente concluso solo se i cani giungono nei pressi del covo. Diversamente saremmo sempre di fronte a un’opera incompiuta. L’accostamento, e qui torniamo all’effettivo pragmatismo del classicismo, non è una fase fine a sé stessa, ma è estremamente funzionale al buon esito della cacciata. Non può esserci seguita senza scovo, né scovo senza accostamento. Anche perché quelle rare volte in cui s’inciampa casualmente nel covo di una lepre difficilmente assisteremo a un inseguimento pressante se i cani che dovranno attivarsi per metterlo in atto non avranno avuto modo di espletare al meglio le fasi precedenti, mettendosi la lepre nel naso.

L’accostamento nella caccia alla lepre: alcuni miti da sfatare

Durante la fase di accostamento il canettiere può decidere di lasciare totale autonomia ai cani, seguendone a distanza l’incedere e affidandosi alla vista e all’udito, e in certi casi solo a quest’ultimo; oppure può valutare l’ipotesi di seguire i cani da molto vicino. Nella caccia alla lepre la fase di accostamento è di norma assai avvincente anche se può avere durata e difficoltà del tutto variabili. Le condizioni olfattive di giornata avranno sicuramente impatto sulla possibilità di arrivare al covo e di farlo in tempi ragionevolmente rapidi.

Oltre al sentore, un elemento da tenere in seria considerazione è il comportamento della lepre che si sta trattando. Non tutte le lepri mettono infatti in atto gli stessi stratagemmi difensivi; vi è dunque una molteplicità di fattori per cui il tragitto notturno della lepre può essere più o meno lungo, oltre che più o meno tortuoso. In tal senso occorre sfatare due miti, cui troppo spesso ancora oggi si ricorre in caso d’insuccesso o per giustificare azioni non del tutto ortodosse.

Percorsi non sempre lunghi

Il primo riguarda la convinzione che la lepre compia sempre percorsi notturni interminabili; se è vero che questa ipotesi non è del tutto infrequente, dobbiamo considerare come non possa nemmeno rappresentare una regola fissa. Specialmente nelle stagioni in cui le lepri sono più tranquille, e in modo particolare quando si ha a che fare con selvatici giovani e poco smaliziati, i lunghi tragitti in accostamento dovrebbero fungere da spia, andando a segnalare che nella nostra compagine c’è qualcosa che non funziona.

Il secondo mito può essere sintetizzato da una massima cara a un mio vecchio amico segugista che è solito ricordare come la lepre non voli. Specialmente dove la presenza di lepri è consistente, un’azione portata avanti a strappi, con pause e discontinuità di azione notevoli, deve sempre mettere la pulce nell’orecchio di ogni segugista, sia amante dei cani di maggior metodo sia di quei segugi che evidenziano maggior iniziativa. Il rifiuto del cambio in questo senso è concetto molto più applicabile alla traccia, e quindi alla seguita, piuttosto che alla passata; ma in ogni caso un bravo canettiere deve sapere riconoscere e intervenire sul comportamento scorretto di quel soggetto che invece di applicarsi sui passaggi difficili sfonda alla ricerca di una nuova passata.

L’accostamento, seconda fase della cacciata

Saper valutare è cruciale

Durante la caccia alla lepre seguire i cani in accostamento ci permetterà di comprendere al meglio una regola difficilmente confutabile, quella in base alla quale dietro un accostamento efficace non possono che convivere ottimo metodo e giusta iniziativa. L’accostamento è una fase che impone riflessione, mestiere, esperienza. In questa fase ci si attende dai segugi una certa capacità di valutazione, che rifletta a sua volta senso del selvatico e intelligenza venatoria. Non occorrono necessariamente grandi doti atletiche di esplosività, ma si rende utile la capacità di sapersi concentrare, considerato che il tempo per risolvere i rebus in questo caso non manca.

L’accostamento si conduce infatti sulla passata, un indizio olfattivo che ha caratteristiche diametralmente opposte alla traccia, caratterizzato da scarsa intensità ma grande persistenza. Mai come in questa fase non avrebbe senso esaltare le difficoltà che un soggetto incontra sul suo cammino, con l’obiettivo di incensarne le qualità. Il grande interprete dell’accostamento è quello che i falli li risolve alla svelta, ammesso che li riscontri. L’accostamento che risulti funzionale allo scopo, specialmente quello delle razze italiane, non può che essere spicciolo e risolutivo. Ciò non comporta necessariamente che si debba correre. Il bravo interprete deve infatti confermare la capacità di arrivare alla meta, il covo, con una certa sicurezza e in tempi adeguati.

Specialmente se si osservano i cani da vicino, l’accostamento è un termometro eccezionale per testarne le qualità morali. Il grande accostatore è un soggetto che spicca anzitutto per equilibrio. Preliminarmente il grande accostatore dovrà occuparsi anche di un’altra valutazione, quella della passata utile. Il soggetto che spicca in questa fase riuscirà spesso ad andare a punto; saprà scartare quelle indicazioni poco utili allo scopo, attribuendo invece la massima importanza anche a quegli spiragli di passata quasi impercettibili ma cruciali per concludere positivamente l’azione.

L’accostamento segnala i difetti

L’accostamento sarà un momento capace di evidenziare in modo impietoso anche parecchi degli eventuali limiti che potrebbero caratterizzare alcuni dei nostri segugi. Accostare significa anche e molto spesso lasciare il certo per l’incerto. La risalita verso il covo impone infatti passaggi da terreni in cui l’emanazione è migliore ad altri in cui l’intensità della stessa è assai più scarsa. Esistono soggetti che al prato sanno tutto loro, come soleva ricordare un mio caro amico. Se si dispone di soggetti caratterizzati da questa scarsa propensione ad avanzare e che risultano per giunta molto scagnatori, il rischio di impiantarsi e di imporre per giunta un dietrofront anche agli eventuali compagni di lavoro è assai elevato.

Alla ricerca dell’equilibrio

L’equilibrio di un soggetto lo noteremo inequivocabilmente dalle sue espressioni vocali che tradurranno in parole il suo sistema di valutazione. Una voce monotona potrà anche accompagnare l’accostamento di un soggetto efficace che però non saprà mai emozionare la platea. Se una voce monotona anestetizza le emozioni che saprebbe donare un accostamento con i fiocchi, una voce rabbiosa e sovraeccitata di norma si tira dietro purtroppo un soggetto inconcludente. Normalmente queste espressioni vocali sono sintomo di un precario equilibrio psichico, tutto l’opposto di ciò che occorre per saper accostare.

Quando ottimi accostatori, sinceri ed equilibrati, sono condotti da un valido canettiere, costui valutare in ogni momento la qualità della passata e ciò gli permetterà anche di stabilire approssimativamente la vicinanza al covo. Se, al contrario, a dominare saranno lo squilibrio e il caos, il segugista autentico difficilmente potrà godere appieno dell’evento. Forse proprio perché chi ricerca la perfetta fusione tra pragmatica ed estetica vuole giungere alla meta, ma anela anche la possibilità di gustarsi appieno il percorso necessario per raggiungerla.

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