Caccia al cinghiale sulle Alpi

Caccia al cinghiale sulle Alpi

La caccia al cinghiale in area alpina risente di molte variabili, in primis della particolare conformazione dell’ambiente, che impone di adeguare l’attività venatoria al terreno di caccia.

La caccia al cinghiale in montagna (intesa, tendenzialmente, come fascia di altitudine posta tra i 1.200 e i 2.000 metri) è ormai una realtà consolidata da almeno un ventennio in tutta l’area del Nord Italia.

Il cinghiale è un selvatico davvero straordinario, a volte sorprendente. E’ l’unico ungulato, tra quelli europei, ad avere avuto un’espansione esponenziale in quasi tutti gli areali trofici, sapendo adattare il proprio comportamento e il proprio tasso riproduttivo a ogni circostanza. Inoltre è capace di riprendersi in tempi rapidissimi dai periodi di crisi alimentare e riesce a colonizzare anche ambienti oggettivamente poco favorevoli dal punto di vista climatico.

Questa estrema capacità di adattamento, oltre a causare le ben note problematiche connesse alle attività antropiche, ha portato la specie a essere oggetto di prelievo venatorio praticamente in tutte le realtà territoriali, compresa l’area alpina.

La caccia al cinghiale nel bosco ad alto fusto

Le zone di caccia al cinghiale in montagna si dividono in due macroaree. Quella al di sopra e quella al di sotto del limite arboreo ad alto fusto. Alle altitudini inferiori, contraddistinte solitamente da bosco di latifoglie o misto, la caccia al cinghiale mantiene alcune affinità con quella praticata in pianura o collina, sia nella forma collettiva (braccata e girata), sia nella caccia di selezione a singolo.

Aspetto fondamentale della caccia con i cani è la perfetta e dettagliata conoscenza, da parte dei componenti della squadra, del singolo terreno di caccia. Ciò per poter disporre al meglio le poste e prevedere adeguatamente i movimenti degli animali, una volta mossi dagli ausiliari. In montagna, tutto ciò risulta ulteriormente complicato dalle caratteristiche ambientali, che a volte rendono assai più ardua l’azione di caccia. Pensiamo alle aree di bassa valle caratterizzate da pietraie e morene vegetate o a canaloni particolarmente ripidi che rendono difficile l’accesso ai cacciatori e la seguita dei cani.

Se si conoscono bene i territori, è quindi possibile concentrare lo sforzo venatorio in zone dove è più agevole incanalare il passaggio dei selvatici, nelle quali piazzare le poste con buone prospettive di successo.

Ulteriori complicazioni

La questione si complica ulteriormente nella caccia di selezione, nella quale la conoscenza del sito deve coniugarsi con la capacità di prevedere gli spostamenti spontanei dei cinghiali in funzione della stagione e delle abitudini alimentari.

Trattandosi in prevalenza di caccia all’aspetto, si renderà necessario individuare zone non troppo vegetate (coltivi, zone prative, pascoli) in cui i suidi tendono a transitare per nutrirsi o raggiungere le rimesse. Questo può comportare la necessità di numerosi sopralluoghi volti a cercare segni di presenza e individuare, di conseguenza, idonee postazioni di tiro.

La scelta dell’arma per la caccia al cinghiale

L’ambiente montano influisce però sulla scelta dell’arma. Nelle cacce collettive è molto frequente l’uso di carabine semiautomatiche, compatte e brandeggiabili. La caccia di selezione richiede invece, proprio per la necessità di dover spesso affrontare lunghe salite e spostamenti faticosi, armi corte e leggere, eventualmente in materiale sintetico, meno soggetto del legno a danneggiarsi a seguito di urti o abrasioni sulle rocce. Oltre a carabine a canna corta o stutzen, una valida opzione può anche essere un buon basculante da trasportare nello zaino in fase di avvicinamento.

Volendo individuare i calibri più idonei, trattandosi tendenzialmente di tiri medio-corti in ambienti piuttosto vegetati, consiglierei di tenersi nel buono, quindi dai 7 millimetri in su, con palle di generosa granitura, idonee, se necessario, a sfrascare mantenendo un buon potere di arresto.

Questione di visibilità

Passando a esaminare la caccia alle quote medio-alte, in corrispondenza delle praterie e dei pascoli alpini, questa presenta ulteriori difficoltà, essenzialmente per una ovvia questione di visibilità. È evidente, infatti, che l’assenza di copertura arborea causa problemi in fase di avvicinamento al selvatico. A ciò si aggiunge la naturale diffidenza innata del cinghiale, soprattutto se regolarmente cacciato. I branchi, ma anche gli individui solitari tendono a stazionare e alimentarsi in zone aperte, pronti a rientrare nelle rimesse a quote inferiori al minimo accenno di pericolo.

Tale comportamento risulta piuttosto ininfluente nella caccia collettiva, posto che in ogni caso l’obiettivo è quello di spingere gli animali verso le poste. Molte più difficoltà incontrerà invece il cacciatore di selezione, allorché voglia approcciare gli animali in campo aperto fino a portarsi a tiro.

Caccia al cinghiale alla cerca e all’aspetto

Le alternative quindi sono due. In primis la caccia all’aspetto, che dovrà essere condotta negli abituali luoghi di alimentazione e transito dei cinghiali. L’ambiente più aperto di alta montagna ha il vantaggio di consentire il potenziale avvistamento dei selvatici anche a lunga distanza, ma limita le possibilità di approccio. È quindi opportuno, oltre che acquisire una adeguata conoscenza delle abitudini dei cinghiali, scegliere una postazione il più possibile panoramica, dalla quale individuare eventuali animali in movimento e prevederne il tragitto.

La seconda alternativa, per i cacciatori piuttosto esperti, è la caccia alla cerca. Essa richiede una perfetta dimestichezza con il terreno di caccia e la capacità di sfruttare anche quelle minime coperture che possono costituire un ausilio nell’avvicinamento. Sempre tenendo conto che il cinghiale, una volta messo in allarme, tende a spostarsi anche di chilometri, rendendo molto spesso impossibile contattarlo nuovamente.

Le peculiarità dell’ambiente alpino si riflettono anche in questo caso sulla scelta di arma e munizionamento. È infatti intuitivo che nelle situazioni sopra descritte è molto più probabile dover ricorrere a tiri medio-lunghi, nella materiale impossibilità di avvicinare oltre certi limiti i selvatici. Consigliati, quindi, armi e caricamenti destinati a traiettorie più tese, sempre tenendo conto della necessità di un adeguato potere di arresto.

Caccia al cinghiale e i recuperi in montagna

Aspetto fondamentale, da tenere sempre presente, è quello del recupero del selvatico abbattuto. Ogni cacciatore coscienzioso dovrebbe astenersi dal tiro nel caso di animali posizionati in luoghi inaccessibili o pericolosi. E questa necessità diviene ancora più impellente in un contesto come quello alpino, in cui pendenze molto marcate o altri fattori possono causare la perdita definitiva o il pesante danneggiamento della carcassa.

A ciò si aggiunga che il cinghiale è notoriamente un ottimo incassatore e che molto difficilmente rimarrà sull’ombra, a meno di tiri fortunosi che interessino la colonna vertebrale o la testa. Attenzione quindi, anche in caso di animale perfettamente piazzato, a quelle che possono essere le conseguenze della nostra fucilata.

Anche in caso di abbattimento pulito e andato a buon fine, giunti sul cinghiale abbattuto e completata l’eviscerazione, molto spesso dovremo prepararci a un duro lavoro di trasporto. Chiunque abbia trascinato un cinghiale anche solo di media stazza per alcune centinaia di metri su un terreno pianeggiante sa che, in confronto agli altri ungulati, per la sua stessa conformazione l’attrito sul terreno ne rende assai faticoso lo spostamento. Immaginiamo di doverlo fare, magari da soli e in salita, fino a destinazione. Un altro motivo per limitare il prelievo ai soli selvatici che sappiamo di poter correttamente e rapidamente recuperare.

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