Beccacce che Passione n. 2 marzo-aprile 2020

 

Editoriale

Teniamone conto

Il tema delle munizioni in piombo e dell’impatto sull’ambiente e sulla nostra salute è in discussione da tempo. Tanto che nel 2016 in occasione del World Conservation Congress dell’Iucn, il più importante evento mondiale in tema di conservazione della natura, il tema delle munizioni in piombo è stato tra quelli più “caldi” dibattuti nel corso del congresso. Allora, dopo un lungo dibattito è stato adottato un testo (Motion 090 – A path forward to address concerns over the use of lead ammunition in hunting) che sostanzialmente ricalca quanto già deciso in passato e che auspica il bando delle munizioni in piombo nelle aree terrestri, oltre che nelle zone umide. E sempre nel 2016 (lo avevamo prontamente segnalato grazie al contributo del professor Silvio Spanò) è stato pubblicato anche l’interessante articolo Lead ammunition residues in the meat of hunted woodcock: a potential health risk to consumers di Andreotti, Borghesi e Aradis (Italian Journal of Animal Science) relativo al consumo delle carni di beccaccia e l’inquinamento da piombo. Lo studio ha evidenziato che nel 96,6% delle beccacce passate ai raggi X erano presenti residui di piombo, per lo più concentrati in parti commestibili, e che il numero di particelle di piombo per unità di massa corporea era più alto di quanto rilevato in altre specie di uccelli. La quantità e le caratteristiche dei residui di munizioni reperiti nelle beccacce abbattute a caccia, suggerivano che i consumatori delle loro carni fossero esposti a una rilevante assunzione di piombo. La pubblicazione di questo articolo scientifico aveva scatenato una serie di commenti: dimensione dei pallini più consona per arginare il pericolo, allusioni a finanziamenti “interessati” a sostegno di tali ricerche eccetera. Ma al di là di tutto, sarebbe alquanto superficiale non tenere conto delle informazioni a nostra disposizione su questo tema. Anche perché il dibattito sul piombo prosegue agguerrito.

A questo proposito sono meritevoli di attenzione le considerazioni del biologo e cacciatore Ryan Lisson proposte su Project Upland Magazine. Per prima cosa Lisson ricorda che già nel 1991, quando il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti aveva imposto a tutti i cacciatori, a livello nazionale, l’utilizzo di munizioni atossiche per la caccia agli acquatici, non erano mancate decise proteste da parte del mondo venatorio. E nonostante che, dopo quasi trent’anni, le munizioni lead free abbiano fatto decisi passi in avanti sia in termini di prestazioni, sia di costi, il dibattito socio-politico sulla questione è ancora acceso.

È un dato di fatto che le munizioni caricate con il piombo siano molto efficaci. Ma è altrettanto fuori discussione che il piombo è tossico per l’ambiente, la fauna e l’uomo. L’argomento presenta però ancora molte criticità da qualsiasi parte lo si affronti, soprattutto perché molti hanno ancora tanti dubbi in proposito, ritenendo – afferma Lisson – che chi si occupa della questione a vari livelli sia in qualche modo condizionato e il suo giudizio forgiato dal pregiudizio.

L’Afwa (la federazione delle associazioni americane per la pesca e la fauna selvatica) ha quindi presentato una ricerca per affrontare in maniera trasparente questo potenziale problema. Lo scopo di questo studio studio era, infatti, quello di identificare ricerche scientifiche di alta qualità (già, perché non tutti gli studi scientifici hanno lo stesso peso, è bene rammentarlo), riconosciute valide da tutti i portatori di interesse (associazioni di cacciatori e ambientaliste, agenzie, aziende, scienziati e ricercatori indipendenti) in merito al piombo e ai suoi effetti sulle popolazioni di pesci e di fauna selvatica. E se l’avvelenamento da piombo osservato negli uccelli acquatici è cosa fuor di dubbio, anche l’avifauna terrestre sembra non essere esente dal problema. Uno studio condotto in Canada (Stevenson et al. 2005), ad esempio, ha rivelato che i livelli di piombo nel sangue degli uccelli acquatici sono fortemente diminuiti dopo l’implementazione del divieto dei pallini di piombo e nello stesso tempo ha evidenziato che i livelli di piombo nel sangue delle beccacce americane prese in considerazione dalla medesima ricerca sono rimasti elevati.

In definitiva, possiamo dire che il dibattito è più che mai aperto e che ci sono ancora alcune domande che attendono risposta. Lisson evidenzia anche come da più parti si sia messa in luce la necessità di un monitoraggio più accurato dei livelli di piombo nelle popolazioni di uccelli selvatici negli Stati americani dove vige il divieto dell’uso del piombo, per verificare come e se i livelli di piombo nel sangue si abbassino nei soggetti esaminati appartenenti a specie diverse. Strom et al. (2005), ad esempio, hanno scoperto che i giovani dell’anno di Scolopax minor del Wisconsin stavano accumulando livelli estremamente alti di piombo nelle ossa; e sebbene non sia stata identificata con certezza la fonte del problema, i ricercatori non hanno potuto assolutamente escludere che la responsabilità fosse del piombo delle munizioni da caccia disperso sul terreno.

Comunque sia, dopo anni di studi e osservazioni, conclude Lisson, appare evidente che il piombo non è una scelta complessivamente sostenibile. La sua considerazione finale è che, se la maggior parte dei cacciatori prendesse davvero coscienza dei danni che in generale il piombo provoca, seppur lentamente il dibattito “piombo sì piombo no” si spegnerebbe, perché l’abbandono del piombo sarebbe da tutti unanimamente condiviso.

Al di là di tali osservazioni dell’autore statunitense però, vorrei qui proporre una riflessione su qualcosa di più immediato. Se gli immensi territori di caccia degli Usa non sono riusciti a nascondere i danni causati dal piombo depositato sul terreno durante l’attività venatoria, rivolgere un pensiero a quello che accade nella nostra piccola Italia è doveroso. Ed è e sarà solo una scelta consapevole e condivisa del mondo venatorio che potrà davvero segnare un cambio di rotta.

Viviana Bertocchi