Le aziende faunistico-venatorie candidate come Oecm, strumenti per la tutela della biodiversità

Le aziende faunistico-venatorie candidate come Oecm, strumenti per la tutela della biodiversità: fagiano in volo
© Dennis Jacobsen / shutterstck

Fondazione Una, Federparchi e Agrivenatoria biodiversitalia propongono di riconoscere le aziende faunistico-venatorie come Oecm, strumenti efficaci per la tutela della biodiversità.

Oecm è una sigla che sta per Other effective area-based conservation measures, strumenti efficaci per la tutela della biodiversità: nel corso del congresso mondiale Iucn (si tiene ad Abu Dhabi) Fondazione Una, Federparchi e Agrivenatoria biodiversitalia hanno proposto di inserire le aziende faunistico-venatorie italiane nella lista che li elenca.

Basata su quella europea, oltre che di quelle protette la strategia nazionale per la biodiversità riconosce il ruolo delle aree che, non protette, si riescono a gestire con modalità che garantiscono risultati positivi anche se tra i loro obiettivi primari non si rintraccia la tutela della natura.

Fondazione Una, Federparchi e Ab ritengono la candidatura «un significativo passo avanti» nel percorso d’affermazione della caccia come strumento a tutela della biodiversità. Le aziende faunistico-venatorie, infatti, sono gestite secondo programmi annuali da gestori chiaramente identificati, e al loro interno la caccia «è rigidamente regolamentata, d’esclusiva competenza dei concessionari, rivolta esclusivamente a specie cacciabili con modalità autorizzate dagli organi di controllo».

La qualifica di Oecm non richiede modifiche dello status o delle modalità di gestione: Fondazione Una, Federparchi e Ab considerano il contesto «già conforme alle normative vigenti», e dunque possibile «il riconoscimento ufficiale» da parte del ministero dell’Ambiente.

Se la proposta andrà a effetto, le aziende faunistico-venatorie entreranno a far parte del territorio che si considera soggetto a protezione. Non è un dettaglio: la strategia europea per la biodiversità prevede che entro il 2030 la quota debba raggiungere quantomeno il 30% della superficie complessiva.

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