Nell’ultimo video della Caccia Magazine Academy Marco Caimi mette a confronto .30-06 Springfield, .308 Winchester, .300 Winchester magnum, 9,3×62 Mauser e .270 Wsm, i calibri più diffusi per la caccia al cinghiale in braccata.
Per la braccata al cinghiale, una delle forme di caccia più praticate in Italia, i calibri più diffusi sono il .30-06 Springfield e il .308 Winchester: nell’ultimo video registrato per la Caccia Magazine Academy e pubblicato sul canale YouTube di Caccia Magazine (iscrivetevi, e cliccate sull’icona della campana per ricevere una notifica a ogni novità) Marco Caimi spiega quali sono le loro caratteristiche, e quali quelle di .300 Winchester magnum, 9,3×62 e .270 Wsm, gli altri tre più utilizzati nelle carabine semiautomatiche.
.30-06 Springfield e .308 Winchester sono abbastanza simili perché strettamente imparentati: il secondo (risale al 1952) nasce dall’accorciamento del bossolo del primo (1906 l’anno d’adozione dell’esercito americano), da 62 a 51 millimetri. È la prima differenza, da cui ne deriva un altro paio: a parità di palla il .30-06 può esprimere una velocità leggermente più alta e un’energia leggermente superiore; nelle armi semiautomatiche il vantaggio del .308 Winchester, più affidabile nell’alimentazione e nel ciclo di sparo, resta teorico. In .30-06 Springfield il mercato offre munizioni commerciali tra i 150 e i 220 grani; nel .308 Winchester ci si ferma intorno a 185.
La moda del .300 Winchester magnum
Meno utilizzato ma abbastanza in voga è il .300 Winchester magnum (1963), il cui bossolo deriva da quello del .375 Holland & Holland, ristretto così da consentire l’utilizzo di una palla calibro .30 (e rispetto al .308 Winchester e al .30-06 Springfield sono gli stessi anche i pesi di palla disponibili): il bossolo, più grande per diametro e per lunghezza, consente di ottenere velocità ancora più elevate.
Per Caimi l’impiego del .300 Winchester magnum in una carabina semiautomatica per la braccata è eccessivo, e non offre grandi vantaggi: la velocità superiore è apprezzabile solo se si spara oltre i 200-300 metri, distanza alla quale si potrebbero registrare effetti apprezzabili nella balistica terminale.
Quella del .300 Winchester magnum nella braccata, dice Caimi, è piuttosto una moda nata per compensare gli errori di tiro su cinghiali in movimento: si tratta di una mera illusione, un tiro piazzato male resta tale anche con un calibro magnum. A ciò s’aggiunga la considerazione che l’energia prodotta non è facilmente gestibile.
Due scelte efficaci
Sviluppato nel 1905 da Otto Bock per soddisfare le esigenze dei cacciatori tedeschi che per gli animali africani volevano continuare a usare le carabine Mauser 98, il 9,3×62 Mauser è invece un calibro classico che ben s’adatta alla caccia al cinghiale. Il proiettile ha un diametro di 9,3 millimetri, ossia .366”: considerato che le palle pesano tra 220 e 290 grani, si capisce che il potere d’arresto (con quelle più leggere si raggiungono anche gli 800-830 m/s) è efficace anche sui cinghiali di mole maggiore.
Ora meno diffuso, ma forte d’una tradizione gloriosa soprattutto in Francia dove il .30-06 Springfield e il .308 Winchester magnum sono stati a lungo prerogativa dell’esercito, il .270 Wsm (2002) nasce quando la Winchester decide di modificare il .300 Wsm per sfruttare l’idea di un bossolo più largo e più basso, nel quale è migliore la combustione della colonna di polvere e che dunque consente d’esprimere velocità superiori (con palle di 130-140 grani si superano i 900 e talvolta i 1.000 m/s).
Sulla breve distanza il .270 Wsm non ha particolari vantaggi, tantomeno nelle carabine semiautomatiche; resta comunque una scelta efficace, anche se l’offerta di munizioni commerciali ora è ridotta.
Non perdere le ultime notizie di caccia e i test di ottiche, armi e munizioni sul portale web di Caccia Magazine.













